Quanto ci costa lo spam giudiziario? E quanti sono i casi? Qui raccontiamo la storia, probabilmente infinita, di un caso di proliferazione maligna di casi giudiziari uguali in cui mi trovo coinvolto come consulente di parte, probabilmente a vita. E’ un esempio di come la spending review non possa essere fatta per decreto o per comitati di indirizzo nei ministeri, ma solo con un’attività partigiana di denuncia dal basso.
Ecco il caso pietoso. Da circa tre anni mi trovo a difendere come consulente di parte il Consorzio PattiChiari in cause civili in cui risparmiatori che hanno subito perdite dal fallimento di Lehman Brothers hanno chiamato PattiChiari a rispondere del calcolo di un indicatore di rischio, chiamato Value-at-Risk (VaR). Ovviamente non è questo il tempo di spiegare perché difendo PattiChiari. A suo tempo, questo sarà il luogo per farlo, e forse questo blog non sarà sufficiente, e dovrò dedicare al caso un intero libro. E’ vero che con i tempi della giustizia civile più volte analizzati anche qui su Linkiesta, probabilmente il libro lo scriveranno i posteri, ma tant’è: tenetevi la curiosità per pochi lustri, e verrà un giorno in cui verrete ricompensati.
Qui PattiChiari è solo un caso di studio dei costi che l’organizzazione inefficiente della giustizia civile impone ai contribuenti. Per questo, riporto nella maniera più asettica possibile l’argomento del contendere. PattiChiari pubblicava una lista di titoli a basso rischio e basso rendimento. L’indicazione di basso rischio era legata a due indicatori. Il titolo doveva avere un rating superiore a A – . Il titolo doveva avere un rischio di mercato, misurato con una tecnica chiamata Value-at-Risk, (VaR) inferiore a un certo livello (ad esempio l’1% sui movimenti della curva dei tassi nell’arco di una settimana). Inoltre, in un documento pubblico diretto agli operatori bancari, veniva precisato che il calcolo era svolto secondo una metodologia proprietaria e coperta da marchio, nota come RiskMetrics, e sviluppata dalla società omonima.
I risparmiatori che hanno chiamato in causa PattiChiari obiettano che il VaR dei titoli Lehman in loro possesso era più alto della soglia prevista da PattiChiari. Per questo, secondo i risparmiatori, i titoli Lehman sarebbero dovuti uscire dalla lista delle obbligazioni, loro li avrebbero venduti e non avrebbero preso la scoppola quando Lehman è fallita. Insomma, per fare un paragone, la logica è la seguente. Un individuo è andato in ospedale per un normale controllo al cuore; il controllo va bene e l’uomo lascia l’ospedale. L’uomo finisce sotto a un camion e muore, e i medici vengono chiamati in giudizio con l’accusa che gli esami erano sbagliati, il paziente avrebbe dovuto essere ospitalizzato, e quindi non sarebbe finito sotto a un camion.
Questo il caso, ma il contenuto qui non interessa. Ci interessa solo mettere in luce l’effetto “spam” che si verifica in casi come questo. Al momento conto dieci processi in cui è stata chiesta la consulenza tecnica di ufficio, dispersi su tutto il territorio nazionale. In tutti i casi il quesito sottoposto al perito è lo stesso: se questo VaR RiskMetrics abbia superato la soglia o no. Se dieci casi vi sembran pochi, in un articolo su Plus del Sole 24 Ore, il 22 giugno, Vitaliano D’Angerio ci informa che in uno di questi, quello del Comune di Padova, “il Comune ha fatto da apripista ai risparmiatori locali”. Cita il sito del Comune, che dice che “un considerevole numero di risparmiatori privati ha deciso di avviare più azioni collettive nei confronti degli istituti intermediari che hanno venduto i titoli Lehman e del Consorzio PattiChiari.”. Infine, l’avvocato della finanziaria del Comune annuncia che “sono in fase di predisposizione gli atti di citazione e le azioni verranno avviate prima dell’estate.” Quindi, il Comune di Padova e l’articolista del Sole 24 Ore agiscono come quei server che rilanciano lo spam su un centinaio di nuove caselle di posta.
Quale antispam? Ci sono due rimedi, uno con effetto immediato sui costi pubblici, e uno con effetto indiretto.
1) Il rimedio immediato è: perché non concentrare gli stessi casi in uno solo? E magari presso un’unica sede: Milano o Roma? Questo taglierebbe i costi alla radice per ovvi motivi. Creerebbe una magistratura specializzata su questioni finanziarie. Avrebbe anche l’effetto benefico di eliminare ingorghi che possono far sorgere sospetti. Esempio: Comune di Padova, Tribunale di Padova, consulente tecnico di Padova con ausilio di docente dell’Università di Padova.
2) Pubblicità degli atti prima della sentenza. Nemmeno Kafka avrebbe potuto escogitare una regola così assurda come quella per la quale io non posso far vedere la perizia di ufficio a un terzo, prima della sentenza. Soprattutto in quesiti tecnici come questo, non è sufficiente un accademico, ma l’intelligenza collettiva del mondo accademico, che potrebbe essere interrogata rendendo pubblici gli atti prima della sentenza. Sempre nel caso padovano, in cui viene calcolato un VaR del titolo pari al 30% (dato che riporto solo perché già riportato nel sito del Comune di Padova) potrebbe essere reso pubblico il modo in cui viene calcolato e potrebbe essere accolto con serietà e discusso, o rimandato al mittente con una sonora risata dalla comunità accademica. Questo potrebbe anche portare i cento impavidi che su questo numero si apprestano a fare causa a considerare con calma se si tratta di un risultato significativo, o si tratta di “spam”.
3) Se la questione riguarda un calcolo fatto con una metodologia proprietaria, perché non chiedere ai proprietari? In questo caso il proprietario è RiskMetrics e non sembra possibile coinvolgerlo per risolvere il quesito. Non mi chiedete il perché. In più, io non posso fare avere al titolare del marchio la perizia che riguarda il suo marchio per il divieto del punto 2).
E ora saliamo dal particolare al generale. Cosa ci insegna questo caso per la spending review della giustizia civile e, in ultima analisi, della pubblica amministrazione? Innanzitutto si pone il problema di quante fonti di “spam” ci sono nel sistema giudiziario e in altri campi della pubblica amministrazione. Nella giustizia civile, vengono in mente, almeno per quanto riguarda il risparmio, altri casi: un esempio sono i casi di derivati degli enti pubblici. Non ce n’è abbastanza per istituire un filtro antispam che potremmo chiamare: magistratura del risparmio? Se passiamo dalla giustizia ad altri settori, come ad esempio l’università, potremmo classificare come esempi di “spam” i corsi uguali che fioccano tra atenei vicini e talvolta nello stesso ateneo.
Ma c’è una questione più spinosa, che ricorda in qualche modo l’intervento di Luca Ridolfi qui su Linkiesta, pieno di pessimismo sulla spending review. Chi si occupa di riconoscere lo “spam”? Riconsiderate questo caso PattiChiari. Chi ha interesse a denunciare lo “spam”? Per un interesse personale, nessuno: non gli avvocati, anche se hanno un perenne eccesso di domanda, e meno spam genererebbe loro meno stress. Certamente, non hanno interesse a denunciare lo “spam” i professionisti che fanno i consulenti del tribunale o delle parti; in fondo, non avrei avuto interesse a denunciare lo “spam” neppure io, che non faccio questo di professione, ma che da questo traggo profitto (un amico per consolarmi del lavoro ripetitivo mi faceva notare che in fondo è un vitalizio).
E allora perché ho scritto questo post? L’ho scritto per una di quelle che Harsanyi chiamava “decisioni morali”, in cui ogni cittadino agisce come decisore pubblico, contro le decisioni individuali, che massimizzano la propria utilità. Risolvere il problema italiano della spending review significa generare la scissione di questi Dr. Jeckyill e Mr. Hide che stanno dentro ognuno di noi, o almeno di quelli che hanno a che fare con la spesa pubblica. Non ci resta che costruire strutture che aiutino questa scissione…e sperare che chi prende le “decisioni morali” non abbia la faccia di Mr Hide.