Vanilla LatteLe Leggende Rock e la periferia dell’impero

C'è il fan sfegatato, che dagli anni '80 a oggi non si è perso un concerto, e ora ha superato quota 800 presenze. C'è la "tribute band", che fa il giro dei locali, esegue gli stessi brani, e commet...

C’è il fan sfegatato, che dagli anni ’80 a oggi non si è perso un concerto, e ora ha superato quota 800 presenze. C’è la “tribute band”, che fa il giro dei locali, esegue gli stessi brani, e commette – volutamente – gli stessi errori. C’è l’appassionato di musica, che si diletta a suonare le strofe più famose, e si ricorda ancora di quando, per caso, incontrò il suo idolo al ristorante. Sono alcune delle storie, appartenenti ad altrettanti, curiosi, personaggi, raccontate da “Leggende Rock”, nuovo programma a sfondo musicale di Rai Due, che ha fatto il suo esordio lunedì sera, per proseguire per altre tre settimane. La trasmissione, condotta da Perla Pendenza ed Elena Ballerini (già volto del canale per ragazzi Rai Gulp), scritta da Domenico Dima e Roberto Vecchi con Nicola Montese, per la regia di Gaetano Morbioli e realizzata in collaborazione con Diamante Production, è quanto di più filo-americano si possa desiderare (come peraltro anticipato dallo spot-anteprima, in cui spiccava una bandiera a stelle e strisce), essendo dedicato a quattro artisti statunitensi che hanno fatto la storia del rock, ovvero Bruce Springsteen, Bob Dylan, Jimi Hendrix ed Elvis Presley. “Legends of Rock”, come il titolo del terzo capitolo della saga videoludica di Guitar Hero. Quattro nomi immortali, quattro giganti della musica, per quattro puntate monografiche. Per circa un’ora, tra musica, immagini di repertorio, interviste a giornalisti e critici, l’attenzione è tutta dedicata all’artista e ai momenti salienti della sua carriera. Ma lo spunto innovativo di “Leggende Rock”, caratteristica che lo rende differente e, se vogliamo, più intrigante dei soliti documentari che raccontano storie già raccontate e inneggiano a questo o a quel rocker, è lo spazio dedicato a chi, nel nostro Paese, ne ha subito l’influenza. Lo sguardo si rivolge aldilà dell’Atlantico, per guardare in Italia. Insomma, una sorta di studio sull’impatto musicale, culturale e sociale che queste star americane hanno avuto sul popolo della periferia dell’impero. E questo, ovviamente, rende il tutto più interessante, perché si va a scoprire il variegato – e pressoché oscuro, a chi non è del settore – mondo delle “tribute band”, ovvero gruppi, come gli “E Streets of Fire” intervistati da Elena Ballerini, che fanno tournée al solo scopo di riproporre, il più fedelmente possibile, i brani di Bruce Springsteen, e si vanno a conoscere i fan più sfegatati, quelli che si pensa esistano solo nei film, quelli del memorabilia, del collezionismo, dei gadget e delle foto autografate, delle canzoni imparate a memoria e delle centinaia di concerti ascoltati, in tutta Italia e in tutto il mondo. Non il solito programma sul rock, arricchito dalla presenza in studio del chitarrista Ricky Porter (un po’ sacrificato), e dai punti di vista di giornalisti quali Carlo Massarini e Luca Dondoni, del docente ed esperto di comunicazione musicale Gianni Sibilla, del produttore Guido Elmi e del chitarrista Maurizio Solieri, oltre al cameo a sorpresa – nella puntata di Springsteen, in attesa di vedere quelle su Dylan, Hendrix e Presley – di Gianni Boncompagni. Una trasmissione amata dagli appassionati e dai fan sfegatati, senza dubbio alcuno in quanto veri protagonisti (loro, quasi quanto l’artista stesso), ma che si fa apprezzare dal pubblico generalista, elemento che rende ancor meno comprensibile la scelta, da parte di mamma Rai, di relegare un valido programma di approfondimento nuova di zecca nella seconda serata inoltrata di fine luglio. Non è questa la sistemazione che ti aspetti per The Boss, Bob, Jimi e The Pelvis. Un trattamento migliore, per le leggende rock, sarebbe stato probabilmente più azzeccato, e sicuramente più apprezzato.

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