Notch-by-notch, ci avviciniamo alla fine. Altri due revisioni al ribasso del rating e precipitiamo giù dal mondo dell’investment grade a quello dello speculative grade. Allora i fondi, o meglio quei fondi che ancora detengono titoli italiani, saranno obbligati a vendere e la crisi si avviterà. E forse non c’è più molto da fare se Saccomanni, invece di rispondere a Standard & Poor’s con dati sul futuro, contesta i dati dicendo che riguardano il passato.
Stavolta c’è poco da obiettare a Standard & Poor’s. Nella nota che spiega il declassamento, ci ribadisce ciò che ciascuno sa: che l’Italia è stata in apparenza virtuosa, se si considera che “il saldo finanziario primario è stato in attivo dal 2004 (eccetto il 2009 e il 2010)”, ma che questa apparenza cessa di essere tale quando si osserva che “la spesa corrente è sproporzionatamente elevata rispetto alla spesa in conto capitale” e “i livelli di tassazione sul capitale e il lavoro sono più alti di quelli sulla proprietà e il consumo”. Poi ci sono le preoccupazioni per la crescita e per il canale di trasmissione della politica monetaria all’economia reale. Vogliamo dargli torto?
Standard & Poor’s aggiunge anche di ritenere che la crescita potrà essere aiutata, ma non prima del 2014, dai famosi 40 miliardi di pagamenti dei crediti commerciali nei confronti della pubblica amministrazione, anche se appesantirà un po’ il debito. Ma questi 40 miliardi non si sa se estistano o dove siano, tanto che Brunetta ha rivolto, stavolta a ragione, una domanda sul tema al presidente Letta nel question time alla Camera. E il presidente del “fare” non ha saputo far di meglio che “dire” le proprie assicurazioni e quelle del governo. Diverso sarebbe stato, di fronte a Brunetta, ma soprattutto di fronte a Standard & Poor’s, se avesse potuto dire: abbiamo istituito una autorità con il compito esclusivo di emettere 40 miliardi di debito, che saranno senior (cioè privilegiati in caso di default) rispetto al resto del debito pubblico; e l’autorità lavora a tempo continuato per erogare gli importi dovuti ai fornitori. Con questa sola iniziativa avrebbe risposto a due dei quesiti posti da Standard & Poor’s. Avrebbe raccolto fondi da destinare direttamente alla produzione, con l’effetto di produre 40 miliardi di collaterale buono da utilizzare per i sottoscrittori, e avrebbe dato alle aziende e a chi le finanzia il messaggio che il loro credito viene prima degli altri. E avrebbe potuto mostrare a Standard & Poor’s che l’impatto di 40 miliardi sul costo complessivo di un debito di 2000 sarebbe stato come un sasso nel mare.
E poi Standard & Poor’s fa presente un numero che riguarda il futuro. “Le nostre proiezioni suggeriscono che, a un tasso di crescita nominale vicino a zero – il rapporto tra debito e PIL non comincerà a diminuire a meno che il surplus di bilancio, escludendo le spese per interessi, arrivi al 5%”. A questo, che è il numero centrale e che riguarda il futuro, Saccomanni ha risposto dicendo che l’analisi era basata sul passato. Il governo sta studiando. Mentre il governo studia, vi suggerisco di aprire Excel e di fare due conti, aiutandovi con l’immagine del post. Si tratta di una versione di un lavoro fatto da Angelo Baglioni e da me, e che ho semplificato a beneficio dei lettori de Linkiesta. Se riuscite a mettere questi numeri su Excel, potete farvi scenari sulla probabilità che il tesoro nei prossimi T anni (5 nell’esempio) finisca come la Grecia.
Se siete pronti selezionate i dati. Un orizzonte di 5 anni, un surplus al 5%, una volatilità del surplus di 0,5% una spesa media per interessi del 4,5%. Poi il debito, che è stimato al 130%, e un debito soglia. Il vostro fine è calcolare la probabilità che tra 5 anni il debito sia superiore al debito soglia. C’è la crescita del PIL, ovviamente, che è quella che trovate nelle previsioni di Standard & Poor’s. Per Standard & Poor’s il PIL cresce allo 0,97%. A questo punto, non resta che il calcolo, che è quello riportato in cima all’immagine. In questo modo ottenete un valore di DD, che significa Distanza dal Default, di 1,9485. Più alto il numero, minore la probabilità che il debito sia maggiore del debito soglia, e che ci sia un default. La probabilità che questo default si verifichi la calcolate scrivendo, nella cella accanto a PD (che in questo caso significa probabilità di default): “distrib.norm.st(-1,9485)”.
Quindi, Standard & Poor’s ha ragione. Perché la probabilità di un aumento del debito sia bassa, il surplus primario deve viaggiare intorno al 5%. Ma ora potete giocare con il vostro foglio Excel e scoprire che Standard & Poor’s avrebbe potuto essere anche più cattiva. Avrebbe pouto dire. Quale credibilità ha un surplus primario del 5%? Voi con il foglio Excel potete fornire una risposta. Se la volatilità (cioè l’incertezza) del surplus primario passa da 0,5% all’1%, la probabilità che il debito aumenti in 5 anni è del 16,5%. Oppure potete, ed è quello su cui ci stiamo scervellando Angelo Baglioni, io e un altro vecchio amico dell’Ufficio Studi COMIT, Marcello Esposito, su un modo furbo di definire la soglia limite del debito, quella oltre il quale il mercato non assorbe più. Ma questo non lo sa neppure Standard & Poor’s, per fortuna…