Sarebbe banale ribadire che la condanna definitiva di Silvio Berlusconi apra spazi di riflessione sul centrodestra e sulla successione a quel capitale politico costruito dal Cavaliere. Sarebbe allo stesso tempo stucchevole sprecare parole su scenari di improbabile successione ereditaria. Ciò che appare evidente è che la domanda più inflazionata, come sempre nella politica italiana, verte sul chi debba raccogliere lo scettro di un leader recluso fisicamente e politicamente, quando invece la sfida più interessante dovrebbe essere costruita intorno al come.
Ci siamo oramai abituati all’utilizzo logorroico di formule vuote come “società civile”, “nuove generazioni” o “nuove forze” cercando spasmodicamente d’individuare un gruppo che per comune background, per genere o per età sia destinato a succedere nel potere politico del vecchio. O ancor peggio a richiamare vecchie formule come la “rifondazione di AN” o la “nuova Forza Italia” come se un nome possa rideterminare il riscatto elettorale e governativo di una forza politica. Per chi ha guardato con interesse al centrodestra degli ultimi vent’anni la domanda fondamentale dovrebbe vertere non sui nomi, ma sulle regole di funzionamento dei soggetti elettorali post berlusconiani. E dovrebbe centrarsi sui principi, sulle idee, sul tipo di società immaginata invece che sul delfino, l’erede al trono e la spartizione del corpo del defunto. Insomma, non chiedete alle persone se il nome “Forza Italia Futura” sia o meno bello, ma date a queste la possibilità di partecipare o competere all’interno di una cornice di regole e d’identità culturale e politica. Sotto il primo punto di vista, ossia quello della partecipazione, la risposta data dal duo Tosi-Meloni con la candidatura alle primarie del centrodestra sembra un’adeguata chiamata alle armi. Ciò che manca però sono il campo e gli avversari, dato che sul fronte liberale e riformatore ancora tutto tace tra smarrimenti, difese ad oltranza del vecchio ed insicurezze espressione di un conservatorismo ottuso.
E proprio sul fronte culturale e delle identità sembra che si sia smarrita la bussola. Dal lontano 1994 i principi liberali propugnati dal primo Berlusconi sembrano essersi definitivamente smarriti, prima inquinati dalla difesa dello status quo che ha visto il suo acme nel ministero dell’economia affidato a Giulio Tremoni e poi il definitivo tramonto con il leaderismo e il partigianismo tutto teso alla difesa del capo nell’ultimo triennio berlusconiano. Seppur elettoralmente molto contenuti, Fratelli d’Italia e la Lega Nord raccolgono, a modo loro, il primo la cultura di una destra identitaria e sociale, la seconda quella dell’identitarismo territoriale. Costituiscono quindi due mondi, con i loro problemi, ma culturalmente definiti seppur molto sbiaditi per le debolezze delle loro leadership.
La luce, invece, è ancora spenta sul fronte liberale. Scelta Civica, divisa al suo interno e debole nel messaggio elettorale, non è riuscita a raccogliere nè consenso elettorale nè a costruire una valida alternativa culturale al berlusconismo. Gianfranco Fini negli ultimi tre anni ha anteposto la tattica e le questioni personali alla strategia buttando al vento un esperimento che sulle prime poteva sembrare interessante. La nuova Forza Italia sembra solo un’assemblea di tifosi schierata a supporto di un leader che si avvia a lasciare la scena principale, ma capace ancora di sembrare protagonista vista l’assenza di qualsiasi scalabilità e competizione interna a quel progetto. Fare per Fermare il Declino continua ad adoperarsi con buona volontà ma senza la spinta politica e mediatica che Oscar Giannino era stato capace di conferirgli all’inizio.
Esiste dunque una parte maggioritaria del vecchio centrodestra elettorale che risulta smarrita e questo spiega anche il successo che Matteo Renzi raccoglie da sinistra tra questi elettori. Si è persa, in questi anni, la coltivazione di principi liberali e libertari. Non si parla nè scrive più intorno alla difesa della proprietà privata, alla promozione della libertà d’intraprendere, alla riduzione del peso dello Stato, alla liberalizzazione dell’economia, alla privatizzazione delle imprese pubbliche, alla riduzione della spesa pubblica. Non esiste, insomma, una strategia della libertà nè a livello politico nè a livello culturale. Il centrodestra post berlusconiano non potrà più vivere di sole battaglie sull’IMU, che forse saranno buone per pareggiare nel breve periodo, ma risulteranno deprimenti sul lungo periodo. Il centrodestra liberale dovrà spiegare la sua diversità dalla sinistra sul piano dei valori, della concezione dello Stato, delle diverse potenzialità attribuite all’individuo, delle virtù del libero mercato.
Se il mondo d’ispirazione liberale vuole sopravvivere politicamente ed evitare una rovinosa catastrofe restando solamente aggrappato alle (male) sorti dei suoi leader non deve che muoversi ora e subito verso due direzioni. La prima, forse la più difficile, è quella di fare un passo avanti rispetto alle formule vuote e chiedere invece regole e meccanismi di funzionamento reali. La domanda dà rispondere è quindi non chi deve succedere a questo gruppo dirigente, ma come possa eventualmente succedergli. Un nuovo soggetto? Primarie? Congressi? Chiusi o aperti? Per il leader nazionale o per tutti? Solo rispondendo a queste domande quella parte politica potrà salvarsi, dimostrare una nuova vitalità e cambiare anche i protagonisti o magari mantenere solo ciò che del vecchio ancora è vicino all’elettorato. Dall’altro lato, quello culturale, la selezione del personale politico sarà tanto più di qualità quanto maggiore sarà l’elaborazione in termini di cultura politica. Solo riportando il discorso sulle “questioni base” del vivere associati, sarà possibile iniettare nuova linfa vitale in un elettorato stanco e pronto a guardare altrove. Su questo fronte le domande irrisposte o risposte con poca convizione sono molteplici: come organizzare i poteri dello Stato? Come impostare il rapporto individuo-apparato statale? Come rendere l’Italia un paese economicamente globale? Come difendere proprietà privata e libertà d’impresa su tutti i fronti? Quale risposta dare al mondo globale con scuole e università? E via dicendo. Se nell’arco temporale che si iscrive nella durata del governo Letta, il mondo liberale risuscirà ad intraprendere un dialogo ed una decisione tanto sulle regole di funzionamento quanto sul punto politico e culturale allora si vedrà una luce in fondo al tunnel per uscire dalla crisi del berlusconismo e dei leader minori. Se le domande resteranno ancora evase, resterà ancora un enorme vuoto che altri colmeranno, magari ammantandosi di populismo e statalismo. A rimetterci sarebbe non solo il centrodestra, ma l’Italia stessa.