L’estate è il periodo dell’anno in cui possiamo dedicare maggior tempo alla lettura o alla scoperta di nuovi luoghi e città. Visitare le grandi metropoli aiuta a conoscere usi, costume e tradizioni con cui difficilmente ci potremmo confrontare. Città come Londra, Parigi, e New York sono all’avanguardia nei poli museali e si possono ammirare mostre, musei, esposizioni di diversi artisti e correnti pittoriche. Trascorrendo parte dell’estate a New York, ho visitato molti musei: dai più commerciali MoMA e Met al meno conosciuto “JP Morgan Library and Museum”. Quest’ultimo, situato all’interno di un edificio costruito da Renzo Piano, raccoglie la straordinaria collezione privata di manoscritti, libri, quadri, opera d’arte del celebre imprenditore americano. Tra i vari musei, mi sono recato anche al Guggenheim. Fondato nel 1937, è ospitato all’interno di una costruzione inaugurata nel 1943 e progettata dall’architetto Frank Lloyd Wright. L’edificio, costruito per ospitare le avanguardie artistiche, raccoglie le opera di artisti celebri come Kandinskij, Seurat, Picasso e opere delle correnti artistiche De Stijl e Bauhaus. Oltre alle opere permanenti, periodicamente sono organizzate mostre di artisti internazionali. Fino al 25 settembre sono esposti i lavori di James Turrell artista statunitense focalizzato sull’utilizzo di luce e spazio nelle sue composizioni artistiche. In particolare Turrell ha realizzato un’istallazione chiamata “iltar” per la prima volta nel 1976. Si tratta di una stanza completamente buia e vuota in cui è esposta nella parete di fondo un pannello bianco luminoso. Trascorrendo qualche minuto nella stanza si ha la percezione di perdere l’orientamento e il pannello nella parere di fondo sembra scomparire, sostituito da un buco. Per accedervi spesso si crea una fila di decine di persone e a volte bisogna attendere più di mezz’ora. Dopo aver visto l’istallazione dell’artista Americano mi sono posto alcune domande: fino a che punto l’arte contemporanea può essere definite “arte”? Qual è la soglia che divide un’opera d’arte da una sperimentazione mal riuscita? Esiste ancora al giorno d’oggi un canone di bellezza? Ammetto che, dopo aver osservato con attenzione “Iltar” di Turrell, mi sono chiesto quale fosse il reale significato della sua opera che, se paragonata ai dipinti, alle sculture, agli affreschi degli artisti rinascimentali o seicenteschi mi pareva ben poca cosa. Eppure ogni giorno migliaia di persone attendono in fila per ammirare la sua creazione. La stragrande maggioranza delle persone – me compreso – è priva delle nozioni di base e degli studi per capire l’arte contemporanea, per questo non hanno compreso ciò che hanno osservato. L’arte contemporanea è presentata da critici e studiosi come un’evoluzione rispetto al passato, come un passo avanti. In realtà è l’esatta rappresentazione dei tempi in cui viviamo, anni nichilisti, dove il relativismo trionfa e in cui si sono persi i veri valori dalla cultura, alla società, alla religione. Vargas Llosa nel suo saggio “La civilità dello spettacolo” sintetizza al meglio queste problematiche: “la cultura nel senso più elevato del termine – sostiene – non esiste più, è stata sostituita da qualcosa di molto più facile da digerire per il grande pubblico e più facile da creare, ma priva di bellezza”. Già alcuni anni fa commentando un’opera esposta alla Biennale di Venezia, come racconta un articolo pubblicato sul sito del Fai, si espresse: “contro la colossale menzogna allestita dal circo di critici d’arte sullo squalo di formaldeide di Damien Hirst. All’epoca si scagliò con enfasi contro il trionfo della superficialità che domina il presente: «l’idea ingenua secondo la quale per mezzo della scolarizzazione si possa trasmettere la cultura alla totalità della società, sta distruggendo la cultura, impoverendola»”. Nell’arte, come in ogni aspetto della nostra società, è necessario riscoprire la bellezza. La strada da intraprendere è quella della riscoperta della civilità classica, massimo picco culturale nella storia dell’umanità.
Francesco Giubilei
@francescogiub