Alitalia? Abbiamo già dato
Alitalia è di nuovo senza soldi, in balia di Air France che vorrebbe e non vorrebbe acquisirne il controllo, poco entusiasta di spendere per una linea aerea che probabilmente avrà sempre bilanci in rosso, ma col timore di perdere l’ accesso privilegiato al grande e lucroso traffico intercontinentale italiano che Alitalia le dà. Per intervenire chiede il pagamento di una dote, ma abbiamo già dato e inutilmente.
Roberto Colaninno si ritrova con il cerino in mano, dopo aver sprecato buona parte dei tanti soldi che con la fortuna aveva guadagnato nell’ avventura Telecomitalia, avventura per lui e sventura per l’ azienda e per il nostro Paese. La malattia della moribonda compagnia di bandiera è però molto più antica dell’ ingresso suo e degli altri “capitani coraggiosi” ed è tutta nell’ incapacità di stare al passo con i tempi, che cambiarono per sempre in Europa dapprima con la privatizzazione di British Airways voluta da Margareth Thatcher e poi con la liberalizzazione dei voli interni europei della metà degli anni ’90, ricalcata su quella dei cieli americani decisa da Jimmy Carter alla fine degli anni ’70.
Meno di Alitalia, ma anche British Airways allora era un carrozzone statale in perdita, come lo erano Air France e Lufthansa e tante altre. La sua privatizzazione venne decisa nel 1981 e attuata nel 1987 con la quotazione alla Borsa di Londra che seguì ad una decisa e dolorosa ristrutturazione, quella di un’ Alitalia non ancora ristrutturata è stata fatta oltre vent’ anni dopo, nel 2008, uscendo dalla Borsa e solo perché non si era più trovato alcun modo di aggirare il divieto europeo di ripianare le perdite con i soldi dello Stato.
Il vecchio Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda primeggia nei cieli d’ Europa, proprio come una volta nei mari. Rule, Britannia! rule the waves: British Airways sta molto meglio di Air France e Lufthansa, persino Virgin Atlantic ha trovato nell’ americana Delta un nuovo partner, easyJet spadroneggia in Europa, ma soprattutto in Italia e Ryanair, che batte bandiera irlandese, completa il quadro.
Da noi Alitalia è sull’ orlo dell’ abisso, Meridiana sopravvive da anni grazie alla munificenza dell’ Aga Khan, Blue Panorama grazie a quella forzata dei suoi creditori. Nello stesso tempo l’ Italia è il mercato più importante, dopo quello del rispettivo Paese, per Air France, per Lufthansa, British Airways, per la spagnola Iberia da questa controllata, per la piccola portoghese TAP, per easyJet, per Ryanair e Wizzair, persino per la neonata low cost spagnola Volotea.
Recentemente hanno trovato il Bengodi da noi anche le ambiziose compagnie aeree del Golfo, Emirates, Etihad che inutilmente Alitalia cerca come alternativa ai Francesi, Qatar. Per ultima, ma solo in ordine temporale, turkish Airlines che in poco tempo è approdata con successo a Torino, Milano, Venezia, Bologna, Roma e Napoli. La scorsa settimana, mentre da noi si parla solo di crisi, ha annunciato che volerà anche a Catania. La prossima settimana Emirates inaugurerà il suo volo giornaliero da Milano a New York, che offrirà per la prima volta la prima Classe su questa rotta, che Alitalia fino a Pasqua degnava di soli quattro voli settimanali.
Il risultato del match Europa-Italia, tennisticamente parlando, è 6-0, 6-0, 6-0. Tutti guadagnano nei cilei d’ Italia, a parte gli Italiani. Vi verrà il sospetto che allora siamo sciocchi ed ebbene sì, lo siamo , abbiamo sprecato e continuiamo a sprecare uno dei mercati più grandi d’ Europa, c’ è il rischio che per maritare Alitalia con Air France faremo ancora di peggio.
Alitalia va al capolinea perché l’ Italia si è rifiutata fino al 2008 di passare dal modello dell’ azienda statale, votata alle perdite, consegnata ai capricci dei sindacati, beninteso soprattutto quelli dei piloti che guadagnavano stipendi stellari, preda di contratti che arricchivano Tizio e Caio, al modello della linea aerea che, come una normale azienda, per sopravvivere deve fare profitti. Dal 2008 i proprietari privati hanno potuto schiacciare i sindacati come il padrone pubblico non aveva mai potuto, però hanno scelto di guadagnare non con investimenti che avrebbero fatto di Alitalia un’ azienda sana, ma più comodamente godendosi le limitazioni alla concorrenza, come il monopolio sulla Linate-Fiumicino, regalato loro da Silvio Berlusconi.
L’ economia è andata peggio del previsto, Air France non può più permettersi di assorbire senza preoccuparsi un vettore eternamente in rosso e non tiene fede al tacito patto per cui avrebbe rilevato il 75% che le manca d Alitalia, pagando ai coraggiosissimi capitani il loro investimento più gli interessi, con tanti saluti a casa per l’ italianità.
Il diavolo Silvio ha fatto la pentola, ma non il coperchio e Alitalia è stata una delle sue migliori bravate, come la fantomatica ricostruzione lampo a L’ Aquila. Ma siamo onesti, nel 2008 la sorte di Alitalia era già segnata ed Air France, per prendersela, aveva chiesto condizioni assurde come il diritto di veto su nuovi voli voli intercontinentali di concorrenti, proprio quando diventavano più necessari alle nostre aziende per meglio vendere all’ estero e al Paese per non essere tagliato fuori dalla globalizzazione. Quello del 2008 non fu l’ ultimo treno, ma un vagone solitario che seguiva in ritardo, l’ ultimo treno era passato nel 1998.
La compagnia aerea olandese KLM, che era più avanti di tutte le altre in Europa, capì d essere troppo piccola per sopravvivere da sola e propose all’ Alitalia di Domenico Cempella una innovativa partnership, sulla scia di quella di grande successo che da anni aveva con l’ americana Northwest. Alitalia non aveva, già allora, sufficienti aerei di lungo raggio, perché le perdite non le permettevano di acquistarli, KLM ne aveva in esubero e aveva bisogno di una base nel sud Europa anche perché l’ aeroporto di Amsterdam scoppiava. Loro avrebbero servito tutto il mercato europeo a nord della linea che congiunge Lione a Monaco di Baviera, il resto del traffico avrebbe fatto capo all’ aeroporto di Milano Malpensa, sfruttando il traffico del nord Italia, che oggi come allora, è quello che rende in Italia.
Un’ ondata di cecità collettiva portò al sabotaggio di quell’ accordo, che faceva di Alitalia e KLM insieme la maggiore compagnia aerea europea, non si chiuse l’ aeroporto milanese di Linate come nei patti, KLM ruppe il fidanzamento e Alitalia perse il futuro. Dopo l’ attentato delle Twin Towers dell’ undici settembre il nuovo Amministratore Delegato di Alitalia, Mengozzi, chiuse metà della rete intercontinentale di Alitalia e stipulò un accordo subalterno con Air France. Fu ancora lui nel 2008, diventato investment banker, a portare un’ Alitalia ridotta a vettore regionale sotto le ali poco generose dei transalpini; che da allora hanno riempito i propri voli intercontinentali facendosi carico soltanto del 25% delle perdite di Alitalia.
Si illude chi pensa che il palazzo tremi per le conseguenze nei trasporti e nell’ economia di un’ eventuale chiusura di Alitalia, possibilissima se la cassa si esaurisse. Solo interessa il mantenimento dei posti di lavoro, anzi delle buste paga, per decine di migliaia di lavoratori della compagnia aerea e dell’ indotto, in particolare nell’ area romana, che genererebbe un boomerang politico.
Alitalia, così com’ è, non ha futuro, ma è sempre possibile guadagnare tempo e lasciare che sia un Governo del domani a gestire la patata bollente, esattamente come fece Silvio Berlusconi nel 2008.
L’ Alitalia del 2013 potrebbe sparire senza conseguenze per i passeggeri, che sarebbero limitate a qualche settimana, presto interverrebbero altre linee aeree ad offrire quei voli che sono remunerativi. Va da sé che sui voli in perdita non si dovrebbero invece versare lacrime. L’ estate è alle spalle, inizia un periodo di bassa stagione in cui è possibile pianificare una messa a terra ordinata della linea aerea e la ripresa istantanea dei voli da parte di qualche concorrente, nell’ attesa di trovare una soluzione definitiva.
Ci sono poche eccezioni, si perderebbe per molto tempo la possibilità di volare direttamente da Roma a Caracas e Lagos, ma ciò non giustifica l’ idea che Alitalia debba essere salvata a qualunque costo.
Air France, pare, vuole rivedere il piano industriale di Alitalia, presentato solo tre mesi fa e che pure i suoi rappresentanti nel consiglio di amministrazione avevano approvato. In futuro ci sarebbe non un’ espansione, ma una riduzione di voli, anche dei pochissimi intercontinentali e dunque possiamo aspettarci un’ ondata di migliaia di esuberi, che saranno a nostro carico.
Ogni volta che voliamo, con Alitalia o qualunque altra line aerea, paghiamo una sovrattassa di svariati euro per finanziare la generosissima Cassa Integrazione concessa nel 2008, di ben sette anni di durata originale, allungata di altri tre dal Governo Letta e, pochi lo sanno, senza limite all’ importo del trattamento. A Roma tanti piloti, espulsi con la privatizzazione, ricevono ogni mese dal 2008 una busta paga superiore di oltre il 50% a quella del sindaco Ignazio Marino.
Sarebbe scandaloso espandere ad altri questo trattamento di favore per quella che è a tutti gli effetti una casta, anzi bisogna riportarlo alla normalità, non c’ è alcuna giustificazione perché chi perde il lavoro in una linea aerea, purché avesse un contratto a tempo indeterminato, debba ricevere molto di più e ben più a lungo rispetto agli altri lavoratori.
Il Ministro Zanonato ha detto che non sono soldi a carico dello Stato, perché vengono presi da un’ apposita tassa sui biglietti, ma questa tesi non ha senso, né dal punto di vista etico, né da quello del nostro portafogli, perché sempre da quello escono i soldi.
Ad Alitalia Berlusconi concesse il monopolio della Linate-Fiumicino, allora una gallina dalle uova d’ oro. Questioni di decenza hanno obbligato pochi mesi fa a concedere una liberalizzazione gattopardesca. easyJet ha ottenuto la possibilità di fare cinque voli al giorno, un’ inezia rispetto ai trenta di Alitalia, in una rotta dove la scelta di orari è il fattore competitivo.
Se Air France pretende nuovi monopoli o limitazioni della concorrenza come condizione per sposare Alitalia, la risposta deve essere chiara e secca: no.
Allo stesso modo è ora di eliminare la posizione dominante garantita ad Alitalia a Milano Linate, insieme alla licenza di prendere in giro la regolamentazione che dovrebbe disciplinare quell’ aeroporto. Quello che si dà a Milano ad Alitalia costa a Milano migliaia di posti di lavoro e il bilancio totale è in perdita. Ogni pretesa francese di congelare per l’ eternità lo status quo di Linate andrebbe respinta. Idem per i diritti dei voli intercontinentali: la futura Alitalia francese offrirebbe un piccolissimo numero di collegamenti diretti fra l’ Italia e il mondo, deviando il più possibile i passeggeri negli aeroporti di Parigi e Amsterdam. Faccia come vuole e come detta la necessità di far quadrare i conti, ma lo Stato non deve assolutamente promettere, come invece fecero Prodi e Padoa Schioppa, che si bloccheranno altre linee aeree pronte ad operare le rotte trascurate.
Se quella del 2008 fu una privatizzazione finta e furbetta e con l’ aiutino, ora Air France deve valutare bene se prendere Alitalia a condizioni di mercato, senza scaricare su di noi i debiti e con la prospettiva di operare in un mercato concorrenziale e non in una colonia costretta a servire gli interessi della madrepatria. La concessione di privilegi per salvare, per qualche anno ancora, qualche posto di lavoro finto non avrebbe senso e, se Air France deciderà di non comprarla, lasciamo che Alitalia chiuda, come successe alla gloriosa Swissair, rinata come Swiss dalle sue ceneri e ora in buona salute.
CETERVM CENSEO LINATE ESSE DELENDAM