Nello stesso momento si ammaina la bandiera italiana da Telecomitalia e da Alitalia, la prima finirà agli Spagnoli di Telefonica e la seconda ad Air France, se i Francesi la vorranno, altrimenti finirà e basta.
Dietro questi fallimenti ci sono due Governi opposti, ma un uomo solo, Roberto Colaninno.
Nel 1999 D’ Alema si entusiasmò per la “razza padana” e sciaguratamente da Palazzo Chigi diede l’ assenso ad una scalata che zavorrò Telecomitalia, allora la più avanzata in Europa nella telefonia mobile, con un debito terribile che la porta ora alla perdita dell’ indipendenza. Berlusconi nel 2008 affidò al finanziere mantovano l’ Alitalia perché restasse italiana almeno fino alle elezioni successive e ora c’ è da sperare che resti non tanto italiana, ma in vita.
Insieme alla bandiera italiana cade definitivamente anche la figura di “banca di sistema” che Intesa Sanpaolo ha voluto giocare sia in Telecomitalia che in Alitalia, con risultati disastrosi. Generali pure si lecca le ferite dell’ aver servito interessi che non erano né suoi, né dei suoi azonisti.
Mentre si riparla di privatizzazioni, bisogna cercare di imparare la dura lezione che ci viene impartita in questi giorni. Si è anteposto per anni il controllo in mano amiche a qualunque altra considerazione, una logica di salotto buono che la politica ha voluto estendere oltre i già troppo ampi confini originariamente tracciati da Mediobanca.
Nonostante gli enormi finanziamenti a costo quasi zero, concessi da Mario Draghi alle nostre banche, nulla sfugge all’ acquisto di titoli di Stato e non c’ è più carburante per le “operazioni di sistema”. Le banche non possono più porsi obiettivi politici, Telecomitalia cade per una struttura finanziaria troppo debole, Alitalia per essere stata una privatizzazione finta, in cui gli acquirenti vedevano solo un comodo portage.
Roberto Colaninno, che ha avuto miglior fortuna con Piaggio, è l’ uomo che può mettersi al petto le medaglie di due disastri, entrambi figli della stessa decisione di comprare senza soldi società che potevano prosperare solo investendo somme enormi. Se all’ epoca della scalata di Telecomitalia i leveraged buyout erano una piaga mondiale e l’ investimento di capitale proprio era considerato old economy, sorpassato, inutile, la pretesa italianità di Alitalia, sbandierata da Silvio Berlusconi, è stata fin dall’ inizio una vera presa in giro, che peraltro il Partito Democratico non ha mai questionato veramente e non questiona nemmeno oggi. Forse perché Matteo Colaninno è deputato e responsabile economico del PD?
Uscito indenne dal crollo delle quotazioni delle società telefoniche, perché i soci lo costrinsero al classico vendi, guadagna e pentiti, Colaninno deve aver pensato di avere sempre la fortuna dalla sua parte. Lasciato il cerino Telecomitalia in mano a Tronchetti Provera, un altro che dopo il fortunatissimo affare con la Corning deve aver pensato che Dio era dalla sua parte, Colaninno ha capeggiato una cordata di soci che non sapevano nulla di aviazione, ma erano sicuri di poter rivendere con profitto Alitalia ad Air France alla scadenza del vincolo quinquennale di lock-up.
Purtroppo per lui e nonostante l’ osceno favoritismo da parte del Governo Berlusconi, che gli aveva consentito di fondersi con AirOne in totale esenzione da qualunque considerazione di mantenimento della concorrenza, ad esempio concedendogli il monopolio della rotta Milano Linate – Roma Fiumicino e nonostante la cecità dell’ ENAC, che non ha mai voluto vedere lo scempio che principalmente Alitalia fa delle norme che regolano l’ aeroporto di Milano Linate, Roberto Colaninno non si è trovato i soci di Hopa che lo costrinsero a uscire e monetizzare, ma solo il Direttore Generale Rocco Sabelli, che due anni fa disse che si doveva vendere subito ad Air France, accettando una piccola perdita. Come un giocatore d’ azzardo che non si rassegna, Colaninno allontanò Sabelli e lo sostituì con l’ inconsistente Ragnetti, pensando che Alitalia avesse carenze di marketing, anziché una posizione strategica totalmente errata.
Abbiamo perso Telecomitalia per averla affidata a dei giocatori d’ azzardo, abbiamo perso l’ ultimissima chance di Alitalia per averla affidata allo slogan elettorale dell’ italianità, in entrambi i casi ignorando sane logiche industriali.
Come D’ Alema e Berlusconi, speriamo ora (inutilmente) che anche il perdente Colaninno si faccia da parte e che le prossime privatizzazioni si facciano all’ insegna del bene delle aziende e non quello dei politici e dei finanzieri a loro più vicini, quelli che trovavano sempre banche disposte a finanziare le operazioni più rischiose e più lontane dalle vere necessità delle aziende.
Infine, se Alitalia passerà dal controllo di Roberto Colaninno a quello di Air France, il Governo guidato da Enrico Letta del PD dovrà prendere parecchie decisioni. Chiederà il parere del responsabile economico del suo partito, Matteo Colaninno?
Che credibilità può avere il PD, che da decenni stigmatizza il conflitto d’ interessi di Berlusconi e poi ha come responsabile economico qualcuno che, bravo o no, superonesto o no, ha la considerevole fortuna di famiglia dipendente dalle decisioni del Governo?
CETERVM CENSEO LINATE ESSE DELENDAM