In un bell’articolo sul Sole 24 Ore di domenica Luigi Guiso ricorda a questo governo delle miricae che ancora non sono stati rinnovati i vertici del COVIP, organismo di vigilanza dei fondi pensione, e fa notare che il difetto risale già al governo scorso, quando furono bloccate da Catricalà perché il governo era dimissionario. Catricalà risponde oggi con una lettera, spiegando i dettagli tecnici che avevano impedito al governo dimissionario, e concludendo con generosità: “ben vengano ora le nuove nomine”. C’è solo un problema, la firma di viceministro all’economia. L’esortazione viene da un membro del governo. Queste nomine non dovrò mica farle io? E il governo non è in carica da oggi. Riprendendo l’argomentazione di Guiso ed estendendola alla confronto con la Spagna che è tornato di moda in questi giorni, è facile concludere che questo governo non ha idea di come cosa voglia dire “agganciare la ripresa”.
Consiglio a chi frequenta i miei post la lettura dell’articolo di Guiso (qui), non solo perché è così tagliente che chi apprezza o odia i pezzi del sottoscritto non potrà che trarne ancora maggiore godimento o ribrezzo, ma soprattutto perché riprende il tema centrale del come “agganciare la ripresa”, che io stesso ho discusso in questo articolo su Linkiesta. Si tratta del problema di svincolare il finanziamento del sistema produttivo dai settori che sono impantanati nella crisi: il settore pubblico ed il sistema bancario. Ne hanno parlato tutti e dovunque, meno che a Palazzo Chigi, e non c’è nessun tecnico che non sia d’accordo. Si tratta di riattivare, o meglio aprire, nell’esperienza italiana, un canale di finanziamento diretto dal mercato alle imprese, senza passare per le banche. Gli strumenti? Tutti quelli possibili: minibond, cartolarizzazioni, sistemi di garanzia congiunta (Confidi), accesso ai mercati esteri. Ma gli attori? Noi qui su Linkiesta abbiamo denunciato la necessità di market-maker per le cartolarizzazioni, altri blogger sempre su Linkiesta hanno sottolineato la stessa necessità per il mercato dei minibond.
Ma non manca soltanto chi fa il mercato, manca il mercato stesso. Manca una robusta platea di investitori istituzionali che dovrebbero acquistare i titoli di credito delle aziende, in sostituzione delle banche. E tra gli investitori istituzionali ci sono i fondi pensione, supervisionati dalla COVIP. Tenere il settore di una delle principali categorie di investitori istituzionali, e quella che in Italia necessità di maggiore cura e sviluppo, senza l’autorità di supervisione è un altro importante tassello nella strategia di immobilità del governo. E questo governo in posa da natura morta non ha nessuna chance di “agganciare la ripresa”, e anzi può approfondire la distanza del paese non solo dall’Europa dei virtuosi, ma anche da quella dei compagni di sventura.
Siamo quindi arrivati al confronto tra Italia e Spagna che è tornato di moda in questi giorni. Se usiamo i risultati di un paper pubblicato in questi giorni con Sabrina Mulinacci, possiamo descrivere in maniera chiara la differenza tra i due paesi, ed il vero motivo per cui la Spagna gode di un vantaggio rispetto a noi. Prendete due banche uguali, per grado di rischio e fabbisogno di capitale. Se volete un dettaglio tecnico in più, assumete che la misura di rischio scelta sia il cosiddetto expected shortfall: semplicemente, la stima della perdita media negli scenari peggiori. Mettete una di queste due banche in Spagna e l’altra in Italia. Noi abbiamo calcolato che, nell’ipotesi di una ricrudescenza della crisi del debito sovrano, il rischio ed il fabbisogno di capitale della banca spagnola aumenterebbe del 21% e quello della banca italiana del 71%. In altri termini, il livello di contagio di una crisi del debito sovrano che misuriamo in Italia è più di tre volte quella che misuriamo in Spagna.
Ora prendete due aziende industriali uguali, e mettetene una in Italia e una in Spagna: chi riuscirà a sfruttare la flebile ripresa del mercato? Se non viene tagliato il nodo gordiano tra imprese e sistema bancario, le aziende italiane partiranno necessariamente ad handicap. Dovranno pagare, nel loro costo del capitale, un elevato livello di contagio dalla finanza pubblica al sistema bancario. Questo nel caso migliore. Nel caso peggiore saranno razionate: le banche semplicemente opporranno un rifiuto a nuovi investimenti. E l’erba del lieve ritorno di domanda che rinascerà faticosamente nel deserto sarà brucata non solo dalle economie del nord, ma anche dai paesi della periferia, con cui non potremo lottare. Il risultato potrà essere (e già lo stiamo vedendo) una persistenza della recessione che potrà rendere più acuta la crisi del debito, e trasformare lo scenario di un contagio da debito sovrano da un’ipotesi in realtà. E resterà solo un monumento alla stabilità: una natura morta di governo in un deserto.