Sul web, su blog e social network vari, gira già da qualche tempo. Almeno un mese, se non di più, tra condivisioni, apprezzamenti e commenti tra l’indignato e l’irritato, tendente al deluso. È una semplice immagine, un montaggio che mette insieme diversi titoli tratti da alcune testate, sia online che cartacee, degli ultimi anni. Non accompagnata da titoli o commenti, perché, probabilmente, non sarebbero di alcuna utilità, e risulterebbero forse pleonastici. Il collage riporta notizie a cui, ormai, dovremmo aver fatto l’abitudine: Confindustria: “Italia in recessione, ma nel 2009 la ripresa”; Berlusconi, ripresa nel 2010, purché tutti siano ottimisti; crisi: Berlusconi, ripresa nel 2011 ma ancora sacrifici; Draghi: “Ripresa nel 2012”, spread sotto quota 300 punti; Governo rivede al ribasso stime Pil, Monti rassicura: “Ripresa nel 2013”; Draghi: “Ripresa nel 2014, rivisto il Pil”.
Tutti i titoli elencati presentano almeno tre cose in comune, che saltano immediatamente agli occhi, impossibili da non notare. Primo, si parla dello stato di salute dell’economia italiana. Secondo, si evidenzia una situazione di crisi diffusa e radicata. Terzo, si guarda al futuro, prevedendo una necessaria e fondamentale “ripresa”. C’è solo un piccolo, poco trascurabile, problema, che l’innocua immagine mette bene in evidenza: anno dopo anno, l’annunciata ripresa viene spostata. Rimandata. Posticipata. Come quelle sette religiose che profetizzano la fine del mondo, fornendo anche una data precisa ma, non verificandosi l’apocalisse o il Ragnarök, si trovano costrette ad aggiornare i propri testi sacri. O come quei pub che, come azzeccata trovata pubblicitaria, espongono fuori dal locale il cartello “domani birra gratis”. È il “mille non più mille” o, per essere un po’ più pop, il “millennium bug”, che si rinnovano con cadenza annuale. Un qualcosa che si attende, nel bene e nel male, ma non arriva.
Samuel Beckett sarebbe orgoglioso di tutto questo. Gli italiani, comprensibilmente, lo sono un po’ meno, e qualcuno ha già ribattezzato l’immagine con i diversi titoli di giornale “La ripresa (per i fondelli)”, spesso sostituendo la parola “fondelli” con termini più coloriti. Perché, a voler essere a tutti i costi ottimisti (come voleva il Berlusconi del 2009, vedi sopra) e fiduciosi, premettendo che agli organi di stampa non è attribuibile alcuna responsabilità se non quella di aver riportato notizie, si può pensare che le persone che hanno pronunciato tali previsioni credessero sinceramente in una ripresa. A voler invece essere pessimisti e sfiduciati, invece, che va assai più di moda, ci si convince che, andando a cercare anche negli anni precedenti al 2008-09 (quelli da cui inizia il famigerato collage) si trovino promesse di riprese mai arrivate. E lo stesso accadrà presumibilmente ancora, tanto quest’anno come in quelli a venire. Così, ci si sente come il proverbiale asino con la carota attaccata alla testa, che insegue continuamente senza mai raggiungere.
La seconda ipotesi, sad but true, è la più gettonata. Per averne conferma, basta digitare “ripresa” su Google News: a fronte di circa 56 mila risultati, tolta quella manciata di notizie dove il termine ha un valore sportivo, è un’incredibile raccolta di pronostici per il domani. Ancora nelle ultime ore, il Ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni ha affermato (parole testuali) “Ripresa entro fine anno”, salvo poi aggiungere che “una crisi di governo sarebbe irrazionale”, ergo utilizzando la prospettiva della carota (per i cittadini) per scongiurare quella del bastone (per il suo governo). Di questo particolare fenomeno, della ripresa perennemente incombente, si è accorto anche Giampiero Gramaglia sul suo blog sul Fatto Quotidiano: “Governo, Confindustria, Istituzioni, Palazzi e poteri forti ci martellano da settimane con frasi tipo ‘si vede la luce in fondo al tunnel’, o ‘l’uscita dalla crisi è prossima’, o ‘la ripresa s’avvicina’”, nota. Peccato, però, che “le previsioni economiche di Fmi, Ue e dello stesso governo e i dati sono sempre negativi”.
Dunque, senza addentrarci in profonde elucubrazioni politiche, economiche, filosofiche o scientifiche (o, perché no, metafisiche) sul perché l’Italia ancora non sia uscita dalla crisi e dalla recessione – perché a questo punto, a prescindere dalla colorazione dei governi che si succedono, questo appare essere più di un problema squisitamente politico, ma dell’intero sistema, endemico del Paese – e siccome manca poco all’arrivo dell’anno nuovo, prepariamoci con largo anticipo, tra qualche mese, a leggere titoli quali “Ripresa in arrivo nel 2015”. E ancora nel 2016, 2017, 2018, ecc. Almeno, se non altro, saremo pronti a non credere a profezie già cadute nel vuoto più volte. E rassegnamoci, perché, anche se ci speriamo, la ripresa non arriverà. Facciamocene una ragione.
“Well? Shall we go?”. “Yes, let’s go”.