Sapete qual è il colmo di un’impresa che fornisce acqua? Rimanere senza liquidità, ovviamente. Ho fatto la battuta, lo ammetto. Ma dietro l’ironia c’è del vero. L’industria dell’acqua perde liquidità intesa come acqua (sembra che un terzo si perda per strada) e intesa come soldi (3,8 miliardi di bollette non pagate su un totale di 8,5 miliardi di fatturato).
Questi i dati di un dossier di Federutility riportato sulla stampa questa settimana. Chiare fresche e dolci acque che necessitano di capitale, e chi sarà a sborsarlo se a seguito del referendum non può essere remunerato? La stampa riporta una stima dell’Autorità dell’energia e del gas di un fabbisogno di 25 miliardi per investimenti in cinque anni. Ma l’allarme bollette mette in evidenza la necessità di altro capitale, per mettere in sicurezza la perdita di liquidità intesa come soldi: il capitale economico necessario a garantire la solvibilità delle aziende idriche. Qui proviamo a calcolarlo insieme. Consideratelo un’introduzione al risk-management idrico, per voi e per me.
I dati riportati dalla stampa sono di una percentuale di bollette non pagate pari al 3,2% per le utenze domestiche, che sono (e questa è una notizia) la parte più sana della clientela. Il tasso di insolvenza delle amministrazioni pubbliche locali infatti è dell’8%, e quello dell’industria è addirittura del 23,6%. Il problema è duplice: quanto costa mettere in sicurezza queste perdite di liquidità finanziaria, e chi paga. Il primo tema è tecnico, il secondo è tecnico e politico.
Proviamo ad analizzare la questione tecnica in un’ipotetica comunità di 10 000 famiglie, che sia abbastanza fortunata da rientrare nel 92% delle amministrazioni che paga l’acqua. Per una bolletta d’acqua media annua di 250 euro, l’azienda idrica della nostra comunità dovrebbe incassare 2 milioni e mezzo l’anno. Se quello che nel termine tecnico inglese è il “delinquency rate”, ma è meglio parlare di tasso di insolvenza – perché i delinquenti sono altri – è pari al 3,2%, questo significa una perdita attesa ogni anno di 80 000 euro, più o meno il costo di due dipendenti l’anno. Chi paga per questo? Il paradigma del rischio di credito vuole che questa perdita attesa venga inclusa nel prezzo del servizio. La bolletta di ogni famiglia dellla comunità aumenterà quindi di 8 euro. E’ lo spread sull’acqua, appunto. Ma questo non mette in sicurezza, sotto il profilo finanziario, l’azienda idrica. Metterla in sicurezza significa attribuirgli abbastanza capitale da assorbire le perdite al di là di un livello di confidenza sufficientemente ragionevole. Facciamo il calcolo nel foglio Excel riportato sotto, che vi invitiamo a compilare.
Il foglio Excel vi mostra come calcolare la cosiddetta “formula di Vasicek”, che è riportata nel foglio stesso, e che vi restituisce la probabilità di un tasso di insolvenza inferiore a un certo livello, che è chiamato “P(L < Ld)”. Gli ingredienti della formula sono il nostro tasso di insolvenza medio, che chiamiamo “dp” (anche se nella formula è “p”) e la correlazione “rho” tra gli episodi di insolvenza. Nell’esempio, riportiamo che un tasso di insolvenza pari al 3,88% ha solo una probabilità su mille di essere superato. Possiamo quindi affermare che, con un grado di sicurezza ragionevole, questo livello di insolvenza non verrà superato.
Diamo il dettaglio di come è stato costruito il foglio Excel. Le celle dei valori di “Ld”, “dp” e “rho”, sono di input. Il livello di “dp” è il tasso di insolvenza medio, che secondo la rilevazione è del 3,2%. Assumiamo una correlazione del 20% (su questo non abbiamo dati). Abbiamo poi utilizzato un valore di “Ld” arbitrario di partenza. A questo punto, inseriamo la formula di Vasicek in due mosse. Prima definiamo l’argomento della funzione, che abbiamo chiamato “d”, e che in linguaggio Excel si scrive:”=((1-rho^2)^0,5*INV.NORM.ST(Ld)-INV.NORM.ST(dp))/(rho^2)”. Poi, ricaviamo il valore “P(L<Ld)” scrivendo nella cella: “=DISTRIB.NORM.ST(d)”. Infine, calibriamo il valore “Ld” in modo che la probabilità “P(L<Ld)” sia 0,999. Et voilà! Così abbiamo ottenuto 3,88%.
Per mettere in sicurezza l’azienda idrica bisogna stanziare capitale in modo da coprire l’eventualità che 388 famiglie non paghino, 68 in più di quelle che non pagano in media. Si tratta di trovare 17 000. Non è una gran somma, ma ricordate che lo dovete confrontare con una perdita media dell’ordine di 80 000 euro. E ricordiamo anche che questo numero aumenta con la correlazione, e la correlazione tipicamente aumenta nelle crisi. Se provate a rifare i conti mettendo dentro una correlazione del 40%, e mettete 6,40% come livello Ld, ottenete che mettere in sicurezza l’azienda idrica costa esattamente 80 000 in più agli 80 000 di perdita media.
La seconda parte della domanda è che mette i soldi per assicurare l’azienda idrica contro l’eventualità di dissesto finanziario? Se questo capitale non lo mette nessuno, genera una passività occulta sulla collettività, e si aggiunge alle altre: assicurazione implicita al sistema bancario, alla grande impresa pubblica, e così via. Diversamente, qualcuno dovrà versare questo capitale. Non solo: ma se vogliamo evitare che la tutta la perdita attesa finisca in bolletta, anche parte di questa dovrà essere trasferita a qualcuno. Ma chi mette capitale in un’impresa in cui il capitale non può essere retribuito? Idee? Molte, ma quelle che mi è capitato di vedere, nella mia regione, violano la trasparenza più o meno come se la perdita attesa ricadesse sulla collettività. Il PD toscano, ad esempio, pensa all’idea dell’azionariato popolare: vuol dire che ci costringeranno a pagare, oltre la bolletta, anche il capitale economico, senza nessun ritorno? Altre proposte sembrano più intriganti e risolutive, ma altretttanto poco trasparenti. Sono i bond dell’acqua, che, secondo il piano presentato in Toscana, dovrebbero essere piazzati alle cooperative. Sarà la risoluzione del problema delle spread dell’acqua? No, perché lo spread ricomparirebbe nei carciofi che compriamo alla COOP. Perché lo spread è come l’acqua, è difficile da imbrigliare. E, comunque, non diciamolo a Rodotà e compagni. Non sopporterei di trovare sui giornali spataffiate sullo strapotere del carciofo sui diritti e la democrazia.