Il tempo delle attese è finito. È finita un’era, una tradizione, un credo: basta tenere tutto per sé, basta lasciare che siano gli altri, loro, i magisitrati e i poliziotti, i politici e i giornalisti, a cercare la verità. Che venga fuori, che venga fuori da sola, pulita e terribile; e che tutti l’ascoltino, sia quelli che non sapevano perché non potevano sia quelli che sospettavano, credevano, immaginavano e non hanno fatto niente. Deve aver pensato questo Schiavone, quando è tornato a parlare. Precio, puntuale, una voce che, grazie a Il Fatto Quotidiano, ha fatto il giro del web e non solo. Una sentenza definitiva, di morte. Non alla Camorra, ma alla società: a quella che vedeva ma faceva finta di niente.
«Otto giorni è il tempo del dolore e della meraviglia». Confessa. «Per questo facevamo passare una settimana fra un omicidio e l’altro». Fermo, deciso: capelli bianchi, occhi spalancati. Carmine Schiavone è un pentito dal ’93, ex boss dei Casalesi, uomo che sapeva e che, ora, dice. Non trattiene niente per sé: rigurgita la verità come una donna incinta scossa dalle doglie, nauseata da una nuova vita che sta venendo al mondo. Ma qui non si tratta di nascite; paradossalmente, si tratta dell’opposto. Di morte, dolore e sofferenza. «Io certe cose, come i luoghi esatti dove è interrata l’immondizia più pericolosa, le ho dette nel 1997 durante le audizioni in commissione Ecomafie. Sapete cosa mi dissero? Che era impossibile bonificare perché servivano troppi soldi». Una pietra, poi un’altra, poi un macigno: non sono parole, è una frana. Una frana che ci viene addosso e che ci sveglia – ci costringe a svegliarci.
Dopo più di 20 anni, non è ancora stato fatto niente: non c’erano i soldi, quest’è la scusa. E per questo si è lasciata la monnezza sotto terra, il veleno a contatto con le falde acquifere, il mondo maledetto nascosto, all’ombra, lontano da occhi indiscreti. Nel Triangolo della Morte della Campania, oggi, si muore. E incredibilmente si sa anche per cosa. Ora bisogna capire per colpa di chi: rifugiarsi dietro le solite, trite e ritrite scuse non basta più. C’entra la camorra, sicuramente. Ma non solo lei, capro espiatorio di un sistema più ampio, più radicato. C’è una terra che urla al massacro e ci sono domande che aspettano ancora una risposta. Le coscienze tremano, scosse da un terremoto di omertà, avidità e silenzio.
Twitter: @jan_novantuno