Teste basse, occhi persi nel vuoto, facce coperte da mascherine bianche, e abiti neri, corti, lunghi, semplici: un enorme, lunghissimo corteo funebre, e un messaggio «la mia terra è avvelenata». Mentre i politici e gli addetti ai lavori giocano tra loro, passandosi la patata bollente delle colpe e facendo a gara a chi riesce a sfruttare meglio i riflettori mediatici, la gente dell’aversano scende in piazza, marcia: urla la propria condizione. Erano in migliaia ieri: un popolo intero come un solo uomo; una Terra, quella dei Fuochi, illuminata finalmente dalla speranza e dalla voglia di ricominciare. Se il mondo non ci guarda, saremo noi a farci guardare: una manifestazione pacifica, intensa, velata di nero come se ci fosse stato un morto da vegliare. E il morto, forse, c’era: la Campania e i suoi abitanti, avvelenati dalla spazzatura e dai roghi.
No agli inceneritori, sì alla bonifica; sì ad un intervento immediato e necessario. Sì alla verità. Sono queste le poche cose che si chiedono; quelle cose a cui qualsiasi governante dovrebbe immediamente pensare conoscendo il napoletano e tutti i suoi problemi. «È come Chernobyl», dice Laura Boldrini, presidente della Camera. E chissà perché non stupisce, né conforta: sono parole che arrivano decisamente in ritardo, parole che non danno alcun messaggio, né di speranza né di rassegnazione. Parole vuote che rischiano di sapere di populismo e non di serietà politica. Alla gente non interessa del politico o dell’ambulante che urla: la gente è già in marcia, lutto al braccio e nel cuore, e vuole solo giustizia. «Siamo tutti morti», solo che non tutti lo sappiamo.
Twitter: @jan_novantuno