Metà delle famiglie brasiliane nel 2012 ha speso più di quanto guadagna. In altre parole, metà dei brasiliani è indebitato.
Il 51% per l’esattezza, secondo i dati divulgati ieri dalla società di ricerche Kantar Worldpanel, che ha analizzato le abitudini dei consumatori sul mercato. Il dato si riferisce a quelle che la sociologia brasiliana inquadra nelle classi D e E, vale a dire classi che fino a qualche anno fa non rientravano nemmeno nella fascia dei consumi e vivevano o nell’estrema povertà o di assistenza pubblica attraverso i programmi sociali.
La ricerca, basata su 8200 famiglie, rivela che la zona più indebitata del Paese è quella di Rio de Janeiro e della sua periferia. Qui le spese superano dell’11% i guadagni.
Ma quali sono esattamente queste spese? Il dato qui si fa preoccupante. Se in passato, quando la grande protagonista del consumo era la classe C, cioè tradotto la vasta classe media che è quella che in questi anni si è più allargata, e con prodotti che potremmo definire superflui (elettronica, viaggi, arredamento), la ricerca attuale mostra invece che le spese riguardano alimentazione per consumo casalingo, i trasporti (ricordate le battaglie di strada di giugno contro gli aumenti?), il vestiario, l’educazione (gli scioperi della scuola di questi giorni e le relative proteste: scuola pubblica miserabile e dunque migrazione verso le aree protette del privato – a scapito del pubblico) e i servizi finanziari: cioè le banche, che gestiscono, guarda caso, i debiti.
Riassumento: i brasiliani si indebitano per mangiare, per muoversi, per studiare e per pagare i debiti.
Al di là di quello che ci rivela la ricerca (e comunque basta farsi un giro al supermercato Mundial della rua Riachuelo a Rio per capirlo) è ovvio che è la tendenza che in questi anni ha dominato la crescita brasiliana ed è per questo che oggi la crescita si sta bloccando e le previsioni non sono rosee. Ma non lo sono non perché la crescita si blocca, la crescita non garantisce automaticamente vero benessere sociale. Anzi, questo tipo di crescita basata sul consumo in Brasile ha sortito affetti ancora più deleteri, poiché non è stata accompagnata da servizi e crescita democratica. Si tratta invece di una immensa illusione trasferita ai cittadini attraverso il mito del consumo, un modello totalmente in crisi e sul quale in certo modo è fallito il mandato di Dilma Rousseff, che pure si era ridimensionato in senso pragmatico rispetto al trionfalismo messianico dell’era Lula.
Gli effetti oggi sono sotto gli occhi di tutti. Era dal 1992 (cioè dalle dimissioni forzate del presidente Fernando Collor) che in Brasile non si registravano proteste di piazza come quelle di questi mesi, a giugno per i trasporti oggi per la scuola. Proteste pacifiche macchiate purtroppo da frange di violenti sempre più organizzate. Ed anche questo è il frutto di un serpente che in Brasile nessuno ha voluto finora neutralizzare.
Alla disperazione sociale di milioni di persone, ammassati nelle periferie si è risposto, come illusione di cittadinanza, con la “polizia pacificatrice” (UPP), cioè li si mette sotto assedio e coprifuoco, come profughi.
Lo ha dimostrato la vicenda del muratore Amarildo de Souza, scomparso lo scorso luglio e mai più ritrovato, nella favela di Rocinha, a Rio: è stato torturato e ucciso, perchè sospettato di essere un trafficante di droga.
E per questo crimine oggi sono sotto inchiesta dieci agenti della “polizia pacificatrice” .
Nella foto di Ricardo Moraes/Reuters gli incidenti a Rio in questi giorni seguiti alle manifestazioni degli insegnati.
Su un muro, il nome del muratore Amarildo.