Ho acceso la tv, c’era il Presidente di Confindustria che parlava con i giornalisti mi hanno detto, ho aguzzato la vista, ma non c’era nessuno. Un vuoto, una volatilità che da anni pervade lo stato maggiore degli industriali. Confindustria è una delle tante istituzioni che ha smesso di parlare al Paese e qualche colpo infatti lo ha subito. La FIAT di Marchionne ha levato le tende, molti piccoli e medi se ne sono andati. Altri restano e bisbigliano “Non serve più a niente” o peggio “vado solo ai corsi di terrorismo e disincentivazione all’impresa (leggere sicurezza sul lavoro)”. L’insoddisfazione tra gli iscritti è palpabile e coglierne il motivo non è esercizio di arguzia. Di fronte alla continua moria di imprese e di soffocamenti in culla di startup il sindacato imprenditoriale non riesce a dare risposte decise, di scenario e soprattutto di battaglia. Continua l’appeasment con i sindacati e alla fine del gioco quella che ne esce meglio è Susanna Camusso. La grande impresa che si barcamena tra finanziamenti pubblici e casse integrazioni in deroga alla fine sta bene così. Perchè fare la voce grosse? Forse per inimicarsi la politica o per inasprire le tensioni sociali? E per cosa, poi? Per salvare qualche decina di migliaio di piccolissime aziende? A viale dell’Astronomia basta poco: una piccola riduzione del cuneo fiscale, qualche battuta senza seguito sulla flessibilità e va bene così. Lontana dal cuore, lontana dai riflettori, lontana dall’opinion making. Non una parola o un piano per ridurre la burocrazia, non una su uno scambio tra riduzione degli incentivi e abbassamento delle imposte, non una su cosa chiedere in Europa e di affievolimento dell’articolo 18 nemmeno a pensarci che poi Landini si arrabbia. Anche sulla riduzione della spesa pubblica sempre molto tiepidi, mai una parola a favore delle privatizzazione delle società municipalizzate, non una sulle liberalizzazioni per aprire nuovi mercati. Silenzio anche su un sistema di ammortizzazione sociale vetusto che penalizza formazione e riqualificazione e rigorosa eutanasia delle idee anche rispetto a sentenze giuridiche che pur sarebbero discutibili perchè fondative di una responsabilità oggettiva del datore di lavoro, per le quali qualsiasi cosa accade in azienda la colpa è sempre dell’imprenditore perchè questo “non poteva non sapere” o comunque non ha mai fatto abbastanza. Oggi arrivano anche le difese degli “asset strategici nazionali” e la difesa della “italianità dei capitali” come se con un Paese immobile ed incapace di correre nel mondo ci si possa permettere di difendere il colore dei capitali. E su Alitalia? “Beh, è un discorso complicato” recita lo Stato maggiore. Il carisma è evaporato, il politically correct ha vinto. Confindustria recita un copione moderatissimo, stucchevolmente filo-establishment, remissivo, senza visione nè promozione di principi di libertà che dovrebbero fondare il sindacato degli industriali e tutto sommato con atteggiamento politicante, attendista, pauroso. Ma se lo Stato non fa altro che vessare imprenditori e lavoratori con tasse e regolamentazione a chi dovrebbero guardare le forze produttive di questo Paese? Di certo non a questa Confindustria, non così com’è. Come trovare coraggio, condivisione di valori o visione sociale quando lo Stato, i suoi rappresentanti e persino il proprio sindacato tendono ad ostacolare la pervicace volontà di chi vuole competere su scala globale? Una domanda senza risposta e tante ombre, nonostante la tv accesa.
7 Ottobre 2013