L’abisso generazionale ha colpito ancora. Sarei intervenuto volentieri alla Leopolda a parlare di idee, ma nello stesso week-end io e la mia signora siamo chiamati a una tre giorni londinese per celebrare da sotto il palco dell’Hammersmith Apollo la violenza e la poesia della musica dei nostri tempi, con uno dei pochi interpreti che l’ha coltivata e conservata. Musica per vecchi cattivi ragazzi. Ciò nondimeno, prima di partire provo a mettere in fila qualche idea. Meglio, provo a raccogliere quello che secondo me è importante in qualche slogan. Uno per la missione, uno per il metodo, uno per i contenuti.
Missione. “Bisogna saper vincere, non sempre si può perdere, e allora cosa vuoi?” Noi siamo la generazione schiacciata sotto il “fattore Kappa”. Questa definizione di Alberto Ronchey, che indicava un virus nella società italiana, e che per altri erano gli anticorpi che la società aveva sviluppato nell’era della guerra fredda, oggi è un morbo interno al PD. Per questo è giusto partire dal partito. Bisogna insegnare che perdere è male e vincere è bene; che non si governa dall’opposizione; che non sempre si perde perché il popolo stolto non ci ha capito, e anzi spesso si perde proprio perché ci ha capito benissimo; chi perde se ne va, o se ne dovrebbe andare e non chiamare in causa collegialità, rischi del liberismo, la forma partito, lo spazio politico… Per questo il partito deve essere aperto. In un partito aperto la scelta della rappresentanza e degli incarichi viene attribuita per merito, e non è limitata ai quadri. E la politica non è una professione, è un’attività di servizio. Per questo è auspicabile che chi fa politica abbia un lavoro: un primo lavoro, cui ritornare. Questo è auspicabile, per evitare ristrutturazioni dolorose dopo le disfatte. Sarebbe più che auspicabile meraviglioso che il politico amasse il suo primo lavoro più della politica stessa. Sarebbe l’incentivo migliore a lavorare presto e bene, per ritornare a lavorare al proprio orto.
Metodo. “Di ciò di cui non si sa è giusto tacere”. Non ci sono santi e guru. Non ci sono gli eruditi che scrivono la summa del buon governo. Non ci sono idee facili. Ogni idea deve essere valutata, da chi la propone soprattutto, con riguardo alla posizione del proponente rispetto al contesto cui l’idea si applica. Ognuno ha idee su cose di cui è esperto e ha idee su cose che riguardano la propria condizione. Ognuno di noi è esperto, lavoratore, utente, membro di un nucleo famigliare. Faccio il mio caso. Io posso parlare da esperto di finanza, come lavoratore dell’università ho delle idee su come dovrebbe essere gestita, come figlio di una madre anziana conosco i problemi di una vita che si spegne lentamente, e qui più che idee ho in mente problemi e obbiettivi.
Le idee che posso proporre hanno diversi gradi di forza, e di “credibilità” (in un senso tecnico che si usa nella letteratura scientifica). Nello stesso modo ognuno di noi ha una conoscenza professionale da portare. Conosco l’obbiezione: e chi è fuori dal gioco? Ci sono stato anch’io, mio malgrado, prima che la mia carriera partisse, e ci siamo stati tutti, o quasi. Per un periodo della nostra vita siamo stati esperti del fondo, e di gestione della disperazione. E’ una professione, quella in attesa della professione, che tocca a tutti e dalla quale ci sembra di essere usciti per un miracolo del cielo. Dopo l’esperienza professionale, c’è la collocazione nella posizione lavorativa: per me, è l’intervento all’interno dell’università. Qui ci si sente esperti, ci si sente dei geni, fino a quando le ali si sciolgono per un banale problema, o meglio un problema che è banale solo per noi. Un esempio? Mi è capitato solo ieri di veder naufragare un’idea di rivoluzione copernicana del mio corso di laurea, che già pensavo di esportare, ed è miseramente naufragato perché non compatibile con l’IT dell’ateneo. Cos’è successo? Io, esperto di finanza, sono intervenuto su un terreno amministrativo dove esperti amministrativi mi hanno freddato. Così, quella che io avevo proposto come una soluzione, in realtà è stata degradata ad esigenza. E sarà chi si occupa di amministrazione dell’università da esperto a valutare se sia possibile recuperare la mia idea come soluzione. E infine c’è la mia figura di figlio e ci sono le mie idee sulla vecchiaia di mia madre, e queste sono solo esigenze: vorrei qualcuno che le accendesse un interesse e la tenesse ancorata alla vita, come quei re delle fiabe che nessuno riesce a fare divertire. Ma come si fa e, soprattutto, come si organizza a livello sociale un intervento sulla popolazione anziana che raggiunga questo fine, è un terreno sul quale non sono in grado di scendere, A meno di non giungere a idee paradossali come nel post: 2033, Umberto Cherubini e Yoram Gutgelt all’ospizio,
Contenuti. “Se uno prova a decollare piano, si schianta”. Sono le parole del socio dell’unica attività imprenditoriale che abbia mai provato in vita mia, nell’anno del salto nel buio tra la banca e l’università. Perché io dicevo: un passo dopo l’altro, decolliamo piano. Ha avuto ragione lui, ed è una fortuna che avevamo i freni buoni, o buoni paracadute. Lo stesso si applica alla crisi di questo paese. Non serve un contagocce nel deserto, e non serve la politica delle miricae. La Francia di Poincaré degli anni 20 insegna che la ripartizione del debito in “tranche” è una tecnica che può accelerare l’aggiustamento. Il fatto che ci sia una gerarchia nelle spese, in modo che il debito che le finanzia sia ritenuto rimborsabile prima del resto, consente alla gestione del debito un margine di intervento sul mercato a tassi più bassi, a costo di tassi più alti se il margine di intervento viene superato. Nel caso della Francia di Poincaré questa gerarchia (seniority) si impose senza dover inserire nessuna segmentazione formale: al mercato bastò l’informazione che i titoli emessi andavano a un fondo di garanzia per il rimborso del debito. Perché non pensare a qualche cosa di simile oggi? Ad esempio, perché non creare un fondo che in prospettiva finanzi le spese che riteniamo che a regime debbano rimanere nel perimetro dell’intervento pubblico. Esempi? Sanità, istruzione, difesa e giustizia? Un’altra idea, che abbiamo lanciato più volte da queste colonne, è istituire un fondo che emetta debito senior per il pagamento dei debiti arretrati della pubblica amministrazione verso le imprese. Insomma, l’idea è segmentare il debito di nome o di fatto, in modo da rendere più agevole l’accesso al mercato entro il perimetro, e aumentando la penalità per il ricorso al di fuori del perimetro stesso. Un intervento come questo avrebbe l’effetto di rafforzare la disciplina di bilancio, e avrebbe anche un benefico effetto collaterale: quando mai le agenzie di rating riducessero il nostro merito di credito al di sotto dell’investment grade, questa segmentazione ci consentirebbe ancora di mantenere l’accesso al mercato, anche il mercato di quegli investitori istituzionali che non potrebbero altrimenti sottoscrivere il debito. Il costo di questo sarebbe ovviamente una perdita sul valore dei titoli governativi italiani nei portafogli delle banche. Sarebbe una patrimoniale, che colpirebbe soprattutto le banche. Quindi, una terapia d’urto da maneggiare con cura, e soprattutto da applicare, come ogni patrimoniale, quando il perimetro della spesa pubblica fosse stato definito con certezza e le iniziative di razionalizzazione della spesa pubblica fossero in stato di attuazione.