La bocciatura di Giulia Innocenzi all’esame da giornalista sta facendo molto discutere la “rete” che è popolata soprattutto da giornalisti. E i giornalisti, si sa, parlano spesso (o solo) di altri giornalisti, di quello che ha fatto quello o quello, di quello che ha scritto questo o quell’altro, di chi ha preso un buco e chi no. Potrebbe sembrare una notizia da bar dello sport quella della bocciatura di una collega, tra invidie e rancori per una ragazza giovane che lavora alla trasmissione di Servizio Pubblico di Michele Santoro. In realtà si inserisce a piedi uniti in una questione centrale del nostro lavoro. Per fare questo mestiere serve davvero un tesserino? Bisogna davvero passare un esame per poter trovare le notizie o più semplicemente informare le persone? Oppure è solo una semplice questione burocratica molto italiana di retaggio corporativo e fascista? Io credo che il punto sia proprio questo: il “contratto” giornalistico per avere una paga decente motivo per cui anche io ho scelto di fare l’esame per diventare professionista. Di tutta la vicenda, lasciando da parte la guerra tra giornali di centrodestra e televisioni di centrosinistra, mi ha colpito la presa di posizione di Enzo Iacopino, il presidente dell’Odg. Scrive Jacopino su Facebook: «Non è un tesserino che fa di una persona un giornalista».
L’affermazione è quasi rivoluzionaria. E dispiace arrivi solo dopo la bocciatura di una collega nota per le sua apparizioni televisive. Eppure per la prima volta, forse, viene abbattuto quel muro invalicabile tra chi ha fatto l’esame e chi no. Tra chi si nasconde dietro un tesserino per raccontare di essere un giornalista e chi invece, pur non avendolo, è molto più giornalista di tanti altri. In molti non lo ricordano, ma l’Ordine dei Giornalisti è nato durante il fascismo. Vale la pena rileggersi un bell’articolo di Paolo Bracalini del 2006, scritto per l’Istituto Bruno Leoni, quando la penna del Giornale chiese a Pier Luigi Bersani, in pieno clima liberalizzazioni, di dare un taglio al nostro ordine. Qui il documento completo. Mi permetto di riportarlo qui sotto.
L’ARTICOLO DI PAOLO BRACALINI PER L’ISTITUTO BRUNO LEONI
Prendiamo spunto da una definizione piuttosto tautologica ma efficace che Sergio Lepri dà delle “notizie” per tentare poi una definizione di “giornalismo”. “Notizia è tutto ciò che i giornalisti ritengono tale”. Dunque proviamo: “giornalista è chiunque faccia il giornalista”. E fin qui, tutti d’accordo. Ma cosa vuol dire fare il giornalista? Essere pagati da un editore per una prestazione giornalistica, come redattori dipendenti della società che edita la testata o come free lance. È così? No. L’ordinamento giuridico italianononconcedenullaallalogica.Traildire e il fare, qui, c’è di mezzo l’Ordine dei giornalisti. Unico caso in Europa (con qualche ana- logia per la verità con il Portogallo, per ragioni storiche che vedremo più avanti), per esercitare la professione giornalistica in Italia è necessario essere iscritti all’Ordine dei giornalisti. Prima ancora, per diventare giornalisti professionisti, bisogna svolgere 18 mesi di praticantato presso una redazione e superare poi un esame a Roma. Altrimenti, se non si svolge in modo esclusivo la professione giornalistica ma si collabora – in modo continuativo e retribuito – con una testata, si diventa giornalisti pubblicisti. L’abuso del titolo di giornalista al di fuori dei confini e delle condizioni stabilite dall’Ordine in Italia è addirittura un reato.
Deontologia di Stato?
Che funzione ha l’Ordine dei giornalisti? Principalmente, si occupa del rispetto della deontologia professionale. Il Consiglio nazionale dell’Ordine ha poteri disciplinari e sanzionatori nei confronti di tutti gli iscritti. Le violazioni deontologiche possono essere punite con un richiamo formale ma anche con la sospensione e nei casi più gravi con la radiazione dall’albo. Il che, naturalmente, comporta qualche problema per chi vive di questo mestiere. È tuttavia abbastanza evidente che la deontologia, in un mestiere che tratta sostanzialmente di opinioni, sia materia piuttosto difficile da stimare e canonizzare in un codice. D’altra parte se i giornalisti, nell’esercizio della loro professione, commettono un reato, per questo c’è la magistratura e i tribunali. Se non si tratta di un reato, ma solo di una scelta editoriale contestabile da parte di un redattore o di un comportamento criticabile dal punto di vista etico, per questo ci sono i lettori e il direttore responsabile, che faranno da giudici. E saranno giudici molto più temibili per un giornalista che non un consigliere dell’Ordine. Un diret- tore può licenziare un giornalista che si sia reso colpevole di un comportamento scorretto. E i lettori possono abbandonare un giornale che non rispecchi più i loro valori.
Lasciamo al mercato l’esame dei professionisti
L’Ordine garantisce la qualità del lavoro giornalistico? Uno standard di base della categoria? Assolutamente no. L’esame di Stato per l’accesso alla professione segue criteri anonimi e puramente astratti. Una prova scritta (tra l’altro, con la macchina da scrivere) composta da un elaborato su un tema generico (esteri: la guerra in Libano, esponga il candidato etc., moda: il ritorno dei pantaloni a zampa d’elefante, esponga il candidato etc.) più un riassunto, più dei quiz di cultura (diritto, storia del giorna- lismo, leggi sulla professione, contratto nazio- nale). Una prova del genere non ha nulla a che vedere con il mestiere di scrivere un articolo (e tanto meno con quello di chi lavora in una TV o in una radio). A tutto ciò segue una seconda prova, orale.
Il superamento dell’esame dell’Ordine certifica la conoscenza di una serie di nozioni che i commissari (cioè giornalisti, o ex-giornalisti), o meglio quei commissari scelti per quella particolare sessione d’esame, ritengono indispensabili sapere per entrare nell’albo. Tutto qui. Qualità necessarie? Nessuna. La selezione qualitativa dei giornalisti, semmai, la fanno gli editori e soprattutto i direttori dei giornali che hanno tutto l’interesse ad avere un giornalista capace rispetto ad uno lento, che sia praticante, professionista, pubblicista o niente di tutto ciò. Per giunta, nella commissione esaminatrice è presente un magistrato che può fare domande al candidato giornalista. Perché un magistrato deve giudicare l’idoneità di un giornalista?
Molto probabilmente, sembrerebbe curioso se le parti fossero invertite e nella commissione d’esame per entrare in magistratura sedesse an- che un giornalista. Diversamente dalle altre categorie professionali, come i medici, gli ingegneri, i notai, gli avvocati, in cui l’appartenenza all’Ordine prova una conoscenza di base senza la quale non si può esercitare la professione, l’appartenenza all’Ordine dei giornalisti non prova nulla. L’Ordine, però, ha il potere – solo in Italia – di decidere chi diventa giornalista e chi no.