Nella situazione in cui ci troviamo (crisi economica, sociale e politica) quando decidiamo di accendere il televisore e seguire un talk show, i rappresentanti delle forze politiche, i giornalisti e gli imprenditori pronunciano in continuazione una parola, tanto semplice da usare quanto complicata da applicare: cambiamento. Il M5S, ad esempio, ci ha costruito sopra una campagna elettorale che ha portato ad un risultato che in pochi avrebbero pronosticato – anche se in questo caso specifico i toni popoulistici hanno dato una grossa spinta.
Lo stesso Pdl, nonostante Berlusconi abbia governato più di tutti nell’ultimo decennio, continua a richiedere il “cambiamento”. Analogamente nel Pd, specie nella fazione renziana, si chiede insistenemente il “cambiamento”.
Anche i sindacati chiedono insitentemente di cambiare registro, di svoltare definitivamente per tentare di uscire da questo baratro in cui siamo sprofondati.
A questo punto, però, c’è da chiedersi cosa si intende per “cambiamento” e soprattutto se c’è la volontà politica di modificare un qualcosa o, per lo meno, tentare di farlo.
La maggior parte di chi oggi predica nei salotti televisivi e va a caccia di voti predicando bene, nel momento in cui si passa dalla teoria alla pratica, razzola male.
Si prendano ancora una volta come esempio i grillini. Hanno catalizzato milioni di voti perchè l’elettorato chiede un cambio di marcia; con i loro interventi in Parlamento continuano a chiedere al Governo provvedimenti che aiutino gli italiani ad uscire dalla crisi. Predicano bene, ma razzolano male. I pentastellati sono la più grande presa in giro degli ultimi anni: dicono di voler superare il Porcellum, ma il loro capo intende mantenerlo; vogliono abbattere i costi della politica, ma non intendono modificare la Costituzione perchè è “la più bella del mondo”; si dicono essere portatori della vera democrazia, ma non ammettono il contraddittorio e l’esposizione di dubbi nei confronti del duo Grillo-Casaleggio.
Il discorso è identico per le altre principali forze politiche: il Pdl, da buon partito che si ispira ai valori liberali – così come crede di essere, ma tutti sappiamo che non lo è – dovrebbe lottare contro l’innalzamento della spesa pubblica e delle tasse non a giorni alterni, come cerca di fare tutt’ora, ma trecentosessantacinque giorni l’anno; dovrebbe dire che le privatizzazioni sono uno dei provvedimenti per ridurre la tassazione e la presenza dello Stato nelle vite dei cittadini. Dovrebbe, appunto.
Un vero partito di centrodestra, si sarebbe scagliato senza pensarci due volte contro il viceministro Fassina, dopo che quest’ultimo ha scritto su l’Huffington Post che la spesa pubblica non deve essere tagliata. Fassina dovrebbe spiegarlo a quei lavoratori che si vedono decurtata del 50% la busta paga, per mantenere carrozzoni pubblici dalla dubbia efficienza.
Ma non sono solo i partiti a non avere l’interesse di svoltare. Chi scenderà tra pochi minuti per le strade di Roma protesterà contro l’austerità, questa entità metafisica che in molti dipingono come crudele. Chi urlerà nelle piazze non chiede riforme, ma chiede che tutto resti com’è: tasse alle stelle, spesa pubblica fuori controllo, lavoro per i garantiti. Coloro che parleranno contro il taglio delle spese sono gli stessi che difendono chi è già dentro il mercato del lavoro, i raccomandati; quelli che ci hanno consegnato un Paese che rischia di morire di debito; coloro che fanno fuori gli outsider, i meritevoli e che danno buoni motivi ai giovani di preparare le valigie e salutare la famiglia.
In realtà il ritornello non è cambiato: questi partiti si stanno dimostrando incapaci. Incapaci di interpretare le richieste dell’elettorato; incapaci di avere il coraggio per mettere in moto un processo riformatore degno di questo nome. E la questione che non ci rassicura è che non c’è nessuno che riesca ad interpretare la richiesta di trasformazione, sempre più impellente.
Insomma, il partito del Gattopardo è trasversale, è nel Parlamento ma anche nelle sedi dei sindacati: cambia tutto per non cambiare nulla.
Twitter @MarcoMitrugno