Buona e mala politicaBrand pubblico. Dopo Roma, ora in cantiere Milano, Bologna, Genova, Firenze.

  E' sempre interessante scorgere nelle pieghe grigie dei periodi di crisi segni, spunti, segnali di riorganizzazione e di volontà di rilancio.  Quando si tratta di "segnali simbolici" – attorno a ...

E’ sempre interessante scorgere nelle pieghe grigie dei periodi di crisi segni, spunti, segnali di riorganizzazione e di volontà di rilancio. 

Quando si tratta di “segnali simbolici” – attorno a cui operano, in necessario confronto, istituzioni ed economia – vuol dire che il bisogno di scavallare è davvero sentito. Nel senso di operare – almeno attorno alle esigenze della “rappresentazione” – per manifestare vita, pulsioni, speranze. Che l’economia italiana riparta dalle città è, come si sa, un’opinione di scuola. Città operose, attrattive, capaci di dare valore aggiunto alle culture di impresa.

E sono infatti le maggiori città italiane che nell’ultimo scorcio del 2013, con attuazione nel 2014, si sono poste l’obiettivo – rispettando il loro stemma storico – di intervenire nella delicata politica di brand per rigenerare l’artiglieria immateriale della seduzione simbolica. Quella che ha il compito di saldare identità (spirito di comunità) e attrattività (forza dell’immagine fuori dalla comunità).

Quattro rilevantissime città italiane – una sorta di intelaiatura dell’Italia creativa innestata su robuste tradizioni storiche ed esperienze di economia industriale – stanno operando su questo punto. Quattro città amministrate dal centrosinistra (la Milano di Pisapia, la Genova di Doria, la Bologna di Merola e la Firenze di Renzi), anche se è stata la Roma di Alemanno a giocare d’anticipo nel 2010, arrivando in porto all’operazione nel 2012. Altre lo staranno facendo, forse più in ombra. Altre ancora lo faranno. Ma che le città italiane che – insieme a Venezia e Napoli – guidano il ranking del turismo italiano, agiscano quasi insieme su questa materia è una notizia, non solo per gli addetti ai lavori.

Milano in verità lavora da un anno e mezzo sui suoi significati identitari e sulla evoluzione della sua immagine internazionale, verso l’ appuntamento di Expo 2015. La Triennale ha ricevuto dal Comune l’affidamento di dare spessore di iniziativa al programma maturato in seno a un Comitato Brand della citta’ e nel 2014 si vedranno gli esiti (ricerche, mostre, eventi e alla fine un forum internazionale di discussione). Parallelamente (ma finalmente in modo raccordato) il mondo della moda e del design agisce per una declinazione internazionale della “città creativa” e – terzo fronte – sulla variante grafica del simbolo ufficiale della città (iniziativa del precedente sindaco Letizia Moratti) è partita ora un’operazione commerciale che lega interessi istituzionali e di mercato.

Bologna, Genova e Firenze hanno lanciato bandi di gara per ridisegnare la visual identity delle politiche attrattive. Le prime due hanno concluso i lavori, la terza e’ in dirittura d’arrivo.

Bologna ha scelto, a dicembre, di dare sintesi a tortellini, due torri, mortadella, portici, San Petronio, eccetera. Tra 534 concorrenti, da 17 paesi, e’ stato scelto il logo interattivo “e’ Bologna”, realizzato dai grafici triestini Matteo Bartoli e Michele Pastore. Il segno grafico che correda il logo e’ la modernizzazione di una pianta urbana (che riassume la cinta muraria, il mattone mosaico e la croce del gonfalone). Qualunque concetto riferibile alla citta’ e’ declinabile attraverso queste “forme-lettere”. Il dibattito naturalmente e’ aperto in rete, i critici apparentemente prevalgono sui consenzienti. Ma è il dibattito stesso, in realta’ , parte della soluzione. A proposito di Bologna e’ stato interpellato Milton Glaser – il celebre grafico che nel 1976 con “I …NY” lancio’ la più nota brandizzazione della attrattività urbana del ‘900 – che ha storto un po’ il naso sulla “consultazione di massa“. “Un progetto del genere richiede una grande idea, una grande esperienza” ha detto, facendo ben capire che il suo approccio è per la chiamata selettiva dei grandi professionisti. Anche su questo è lecito discutere.

Genova ha lanciato la gara per “marchio e pay off per la comunicazione e la promozione della città” . Ha messo 14 mila euro in palio ed ha operato in sintonia con i professionisti grafico-visuali e le loro associazioni. La commissione tecnica ha deciso a dicembre. E’ stato annunciato il vincitore – lo studio savonese di Vico Crema, al secondo posto uno studio di Vienna – ma l’esito sarà visibile solo dopo la registrazione in corso. Caratteristica di questa operazione – qui simile a Milano – è quella di avere anticipato il bando con un lavoro di discussione con gli ambiti associativi della città attorno ai caratteri identitari del “brand genovese”.

Firenze infine vede in questi giorni al lavoro una commissione tecnica (universitari, specialisti, operatori visuali) per selezionare ben 5.026 proposte provenienti da tutto il mondo (chissà cosa aggiungerà adesso Milton Glaser alle sue critiche…). Anche qui l’ ampia selezione finirà in mostra e anche qui la fonte maggiore della creatività appare quella dei luoghi storici e monumentali della città, insieme a connotazioni naturali e ambientali, con una parte minoritaria di ispirazioni nella modernità (che è tuttavia tema del bando). La selezione avviene dunque attorno alla capacità di tenere insieme tradizione e innovazione e si vedrà dagli esiti se la creatività sollecitata dalla fama di Firenze coglierà nel segno.

Un accenno di iniziativa è venuto anche da Napoli. Il sindaco De Magistris – ne ha data notizia Repubblica nell’ottobre del 2013 – ha lanciato il progetto “Emozione Napoli” varato per difendere la creatività made in Napoli contro le contraffazioni. Come si vede è un adattamento alle peculiarità contestuali molto specifico, ma potrebbe generare seguiti.  

Nei dibattiti comunque si legge coinvolgimento e persino passione. A volte con parole indignate, altre volte con sincero sforzo interpretativo. E’ questo il segnale forte che l’accostamento al tema non può avvenire solo per iniziativa dei poteri. Il brand pubblico appartiene alla sovranità popolare e chi vuole incamminarsi nei percorsi gestionali o correttivi della materia ne deve tener conto.

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