SVIZZERA – Il Forum Mondiale dell’Economia (WEF) apre questa mattina con un dibattito in streaming sul Datagate intitolato “The Big Brother problem”. Presenti i rappresentanti di enti pubblici e privati anche nelle sessioni successive (vedi programma sul sito ufficiale).
Dopo il discorso di Obama la settimana scorsa, tutti concordano sulla violazione della privacy praticata dalla NSA a scapito dei cittadini, come denunciato da Snowden. È solo l’inizio del dibattito sulla riforma che il Congresso americano deve ora legalizzare.
Intanto a Davos, dove leader e imprenditori cercano in teoria di coordinarsi sulle emergenze globali, il Datagate ha però messo un po’ d’olio sul fuoco tra governo e privati.
A proposito di internet, il patto inviolabile con i clienti è stato ovviamente messo in primo piano come priorità assoluta dalle Tech corporations, ma il pubblico non dimentica lo scandalo recente delle complicità tra aziende e governo. Le aziende avevano reagito con dimostrazioni di trasparenza rimandando la responsabilità al governo USA al quale, en passant, chiedono più flessibilità.
L’opinione delle aziende è unanime: il programma di sorveglianza deve essere pubblico (nei limiti della sicurezza nazionale) perché il governo non può pretendere che le aziende riversino le informazioni dei cittadini ogni volta che scatta l’allarme terrorista. Il terrorismo non può più essere un alibi.
Le aziende, secondo quanto hanno rivendicato a Davos, devono avere la possibilità di giudicare personalmente la gravità dei piani governativi per la sicurezza, per evitare di ritrovarsi nuovamente di fronte allo stesso dilemma: favorire i diritti cittadini o aiutare lo Stato?
Un po’ facile. Chiaramente qui la richiesta di trasparenza non è un fine ma un mezzo, puntando a riacquistare la fiducia del pubblico. È ovvio che l’interesse pubblico, in mano ai privati, è diventato lo strumento per far pressione sulla legislazione.
Eppure, com’è stato sottolineato nel corso del dibattito, ad incarnare Big Brother oggi non è più soltanto lo Stato ma un insieme di aziende private con le quali i cittadini non hanno un rapporto regolato dalle leggi. Cioè, le aziende sono parte dell’esecutivo senza essere veramente vincolate.
È chiaro che i poteri, tra il pubblico e il privato, si contendono il grande business dei Data. E perciò i due campi devono arrivare ad un accordo.
Le aziende chiedono al governo di adattarsi alla competitività e all’innovazione visto che, nonostante tutto, l’alta tecnologia militare non può fare a meno dei servizi offerti da aziende come Google.
D’altro canto, se è vero che non possiamo più impedire la raccolta dati automatica (un tutt’uno con la tecnologia), dobbiamo ratificare un processo di archiviazione adatto a tutti, stabilire gli standard.
Il Ceo delle telecom inglesi BT, Patterson, ha ridimensionato la retorica della privacy sbandierata dal fronte anti-NSA capeggiato da Snowden, Assange e Greenwald: con internet non si può ragionevolmente nutrire la speranza di riavere 100% di privacy.
La formula “più sicurezza meno privacy” di Patterson ha fatto arrabbiare più di uno sui social, ma al di là degli interessi in gioco c’è una vera illusione (tecnicamente obsoleta) alla base della richiesta di privacy.
In fondo, il problema principale dei privati resta la competizione e le strategie per riattivare la competizione quando è bloccata. Secondo le tech corporations ed è un fatto accertato grazie a Snowden, il governo Usa ha fatto fin qui una politica di controllo repressiva senza consultare i governi europei e senza considerare i diritti civili. Tutti bravi ad ammonire ma chi fa la parte dello Stato?