Faber, fabriDialogo tra una sconosciuta, Umberto Eco ed Eugenio Scalfari sulla memoria storica ai tempi di Internet

Ero alla fermata del tram quando è spuntato Umberto Eco nelle pagine del settimanale che stavo leggendo. Quando leggo Eco mi sembra che tra di noi non ci sia un foglio di carta; i suoi interventi ...

Ero alla fermata del tram quando è spuntato Umberto Eco nelle pagine del settimanale che stavo leggendo.

Quando leggo Eco mi sembra che tra di noi non ci sia un foglio di carta; i suoi interventi sono così azzeccati e compatibili con qualche mia riflessione che mi sembra che si rivolga proprio alla sottoscritta, come un nonno saggio e profetico. Per cui, pura finzione letteraria, ne parlerò come se fosse stato lì, in carne ed ossa.

Dicevo, Eco, in quella piovosa mattina, si è messo sotto la pensilina accanto a me che attendevo il tram, e ha cominciato a parlarmi di una cosa strana chiamata “appiattimento della memoria”. “Cara Angelica”, mi ha detto, “vivi in un’epoca in cuiil passato si è contratto in una nebulosa indifferenziata, in cui se ti viene il desiderio di sapere chi fosse Carlo Magno o dove stia Kuala Lumpur non hai che da premere qualche tasto e Internet te lo dice subito. Il rischio è che, siccome pensi che il tuo computer te lo possa dire a ogni istante, tu perda il gusto di mettertelo in testa. La memoria è un muscolo come quelli delle gambe e se non lo eserciti si avvizzisce e tu, Angelica, diventi un’idiota”.

In quel momento è apparso Eugenio Scalfari – che, o mi fa lo stesso effetto in 3D di Eco, oppure anche lui doveva prendere il 3 alla fermata di Via Meda-Via Tantardini a Milano in direzione Duomo. Si è intromesso nella conversazione e ha detto, “Cara Angelica, non ascoltare Umberto. Lui in fondo confida in Internet e pensa che la tecnologia, se usata bene, sia una risorsa. Ma io non sono d’accordo. Per me è la tecnologia la principale causa della memoria artificiale, quella che porta all’appiattimento del presente. Ti porta a desiderare un sapere superficiale che ti esonera da ogni responsabilità. Attraverso un clic, c’è chi ricorda per te e tanto basta e avanza. Anche il pensiero si è anchilosato, così come il linguaggio”.

Un po’ frastornata dalle considerazioni di queste eccelse menti, li lascio là a filosofeggiare e me ne vado.

Una volta da sola, la prima cosa a cui penso è: facile per voi parlare e giudicare. Avete avuto la fortuna di formarvi in un’epoca in cui, per soddisfare la naturale curiosità, ci si poteva solo infilare nei libri e viverci dentro. E siete giunti a un’età in cui il futuro non vi spaventa affatto. Eppure come si fa a darvi torto, come si fa a non vedere che intorno a noi anche il più “illuminato” sembra avere una conoscenza passiva, superficiale, così a portata di mano da essere nulla. Ottenuta senza alcuna fatica, senza alcuno sforzo, è evidente che, come tutte le cose raggiunte in tale modo, non è davvero nostra, non ci dà alcuna autorità, non ci consente di applicarla liberamente senza apparire presuntuosi e ignoranti. Usciamo per una volta dal banale luogo comune (tutto italiano) del “si stava meglio quando si stava peggio”, spero che si capisca che il mio ragionare non è un “nostalgismo” fine a se stesso. Si tratta invece di capire che la minaccia più grande, soprattutto per noi giovani, è l’annichilimento del pensiero, della capacità di connettere i fili che legano il passato al presente, le cause all’effetto. Non mi interessa se una statistica ha mostrato che alcuni universitari pensano che Aldo Moro fosse il capo delle Brigate Rosse o se da Carlo Conti si è detto che Hitler fu nominato cancelliere della Germania nel 1979. Non sono i casi eclatanti il punto.

Sono i tanti giovani che davvero vogliono “pensare storicamente”, offrire al mondo la propria conoscenza e, perché no, lasciare che essa scolpisca la propria personalità. Ma chissà quanti tra di loro hanno capitoche per farlo, secondo me, non si deve sbloccare un aggiornatissimo ipad con software Ios 7 ma aprire un libro (che non è nemmeno bloccato da un codice a 4 cifre, che fortuna), o una vecchia rivista, o un vecchio giornale (la cui fruizione è molto più semplice di quello che si pensa). Io mi rivolgo a loro: togliamo al web la presunzione di insegnarci qualcosa di storico. Non ne sarà mai all’altezza, ci darà solo un’illusione di onniscienza e ci farà perdere una gran quantità di tempo. E soprattutto ci priva di tutta la bellezza del sapere, l’emozione dello scoprire qualcosa di nuovo, la soddisfazione di cogliere i riferimenti da intenditori. Per me tutto questo si misura in quanto i polpastrelli delle dita siano anneriti dallo sfiorare l’inchiostro, e su quante mail con oggetto “sollecito restituzione libri” avete in posta elettronica.

La storia, e non solo quella, è una risorsa troppo preziosa e affascinante per condannarla all’ergastolo in una “suite di protocolli di rete comune chiamata TCP/IP”. (Fonte: Wikipedia/Internet).

Penso allora di tornare indietro e di dire ai miei eminenti interlocutori che certamente hanno ragione, ma non ci sono più.

Glielo scriverò su Twitter in 140 caratteri.

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