Lo vogliamo tutti quanti il cavalluccio rosso. Il problema, però, è che non lo sappiamo. Ce la sentiamo dentro, dalla pancia alle ginocchia e ritorno, questa voglia – questo bisogno. E non riusciamo a capire che cosa sia: il cavalluccio rosso rimane tra i nostri pensieri, mimetizzato come un camaleonte su un ramo; e noi che giriamo, giriamo e giriamo. Il cavalluccio rosso è la sintesi perfetta, prodotto della mente di Luciano De Crescenzo, di una città intera: è la rappresentazione dell’innocenza – il regalo che tutti i bambini, almeno una volta, volevano. Perché cavalluccio ma soprattutto perché rosso. E che chiedevano allo zio, come in Così parlò Bellavista, di andare a prenderglielo al mercato del Carmine per il compleanno. E mica strepitando o battendo i piedi: a richiesta corrispondeva risposta. Subito, immediata – mossa a compassione proprio dall’innocenza di cui sopra.
Poi, e solo poi, venivano i problemi. Quando non c’era più una creatura, come si dice in napoletano, da soddisfare; e all’innocenza si rispondeva con la cattiveria e l’infamità: lo zio andava a prendere il cavalluccio, lasciava la macchina aperta e un ladro provava a fregargliela – o quella o l’autoradio, non ricordo. Da lì, l’inizio della fine: un racconto ciclico, continuo, perpetuo. Un serpente che si morde la coda, e una coda che, quasi naturalmente, va nelle fauci del serpente. Tutti che chiedevano, ognuno che recitava la propria parte, e al fatto che una creatura non avrebbe più avuto il suo cavalluccio rosso nessuno ci pensava. L’innocenza, che dovrebbe essere la prima cosa, passava in secondo piano. Quando si dice la cazzimma. La cazzimma che qui, ennesima figura allegorica di De Crescenzo, era perfettamente riassunta nel camorrisa, ‘o guapp che a fine monologo numero 34, interveniva e prendeva le difese del mariuolo: ha perso una catenina, diceva e lo mostrava. Pure lui giovane, piccolo – una creatura, precisa e uguale a quella che aveva chiesto per il suo giorno il cavalluccio rosso. Solo che uno stava a rubare mentre l’altro stava casa, ad aspettare. La differenza? Sta tutta nell’innocenza. Ieri come oggi. E lo potrete vedere – e io spero: rivedere – pure voi il 10 Febbraio: che Così parlò Bellavista compie 30 anni e torna al Cinema.