L’onesto JagoGreg, Lillo e l’Avanspettacolo

Greg&Lillo, in "Occhio a quei due" Dunque lo dico: sono un fan di Greg & Lillo. Non un fan sfegatato, ma li ascolto spessissimo e con gusto a Rai Radio2, e se mi capita di vederli in tv o al...

Greg&Lillo, in “Occhio a quei due”

Dunque lo dico: sono un fan di Greg & LilloNon un fan sfegatato, ma li ascolto spessissimo e con gusto a Rai Radio2, e se mi capita di vederli in tv o al cinema, mi fa piacere.

Così ho fatto di tutto per andare al debutto del loro nuovo spettacolo: Occhio a quei due, con la regia di Pino Quartullo, visto in un gremitissimo Teatro Ambra Jovinelli.

Il lavoro, nel titolo, fa il verso a una celebre serie tv anni Settanta, interpretata da Roger Moore e Tony Curtis: ed è proprio dalla parodia, dall’evocazione parodica (e dolcemente nostalgica) di un mondo, di un’epoca e di vari generi teatrali che muove la struttura dello spettacolo. Un’evocazione che chiama in causa non solo lo storico teatro della rivista e del varietà anni Trenta e Quaranta, ma anche e soprattutto l’avanspettacolo, la declinazione più popolare e “sciatta”, innocentemente ammiccante o “zozzona”, di quel teatro comico e di intrattenimento che ha avuto il suo canto del cigno proprio negli stessi anni Settanta della serie tv. Un teatro leggendario – vi ricordate l’omaggio che ne fa Fellini? – eppure scomparso. Ma non solo: Occhio a quei due mette in gioco anche gli stilemi del musical all’italiana (seppure in un momento dichiaratamente, goliardicamente fallimentare, messo alla berlina nella sua totale inadeguatezza dagli stessi interpreti) e lo show televisivo degli anni d’oro del bianco e nero, modello prima Canzonissima.

Vi è, nel duo, la volontà di confrontarsi sapientemente con quei generi classici così come con l’hard boiled e la commedia, declinandoli certo all’oggi, eppure mantenendo pressoché intatta la struttura, la forma. Dunque, il comico e la spalla (con Greg e Lillo che spesso si cambiano i ruoli), la primadonna (la bella Vania della Bidia) e il “l’intellettuale”, a fare da contraltare, Danilo De Santis.

Dato un pretesto narrativo – qui una sorta di conferenza tra sociologia e antropologia su usi e costumi della coppia – la partitura scenica procede per numeri, ovvero per attrazioni: o meglio ancora per sketch. Sono piccoli quadri compiuti, situazioni microteatrali che nella brevità e nella intensità si giocano il tutto per tutto. Momenti slegati contenutisticamente l’uno dall’altro, fortemente connotati, immediati, folgoranti e divertenti, in cui la comicità può scaturire per situazione (i due vecchi amici che si incontrano in strada: solo che uno è un travestito a “lavoro”, e l’altro è un aspirante cliente), o per pastiche verbali che tendono sempre all’assurdo. È qui che Greg & Lillo danno il loro meglio: nei giochi di parole, che non escludono, anzi, l’uso del romanesco; nello svelamento feroce del non-sense, nelle situazioni bislacche portate all’estremo (come la folgorante sequenza del negozio di dischi o nelle scene degli appuntamenti di coppia, giocati sulla dialettica tra quel che si pensa e quel che poi si dice). È una comicità leggera, a tratti volutamente candida, addirittura “scema”, che però fa pensare ai grandi, popolarissimi, campioni di una volta: senza scomodare sempre Petrolini, Totò e Peppino, come non evocare Macario, Nino Taranto, Dapporto, Rascel?

Lo spettacolo, ovviamente, è di grande successo: il pubblico accorre numeroso e si diverte. E se Greg e Lillo affinassero ancora un po’ le loro arti – sfrondando definitivamente volgarità inutili e appesantimenti da cabaret televisivo – se compattassero al meglio ritmi e strutture, se osassero anche drammaturgicamente un po’ di più, allora davvero il loro teatro avrebbe le caratteristiche per superare il puro intrattenimento e reinventare, una buona volta, il varietà. D’altronde il clima politico e sociale è lo stesso di allora: povertà e confusione, ovunque nel Paese. Un sorriso, magari, fa anche bene per uscire dalla crisi.

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