L’onesto JagoL’Europa premia il Valle Occupato. E adesso?

I rappresentanti del Teatro Valle Occupato premiati a Bruxelles, foto di Valeria Tomasulo E mentre a Roma pensano a come farli fuori (e la polizia sgombra l’Angelo Mai Occupato: la notizia è...

I rappresentanti del Teatro Valle Occupato premiati a Bruxelles, foto di Valeria Tomasulo

E mentre a Roma pensano a come farli fuori (e la polizia sgombra l’Angelo Mai Occupato: la notizia è di adesso), a Bruxelles l’European Cultural Foundation premia il Teatro Valle Occupato perché – si legge nelle motivazioni – “in un clima generale di crisi europea e di austerità, dimostra come la cultura può animare la sfera pubblica”. In una cerimonia che ha avuto i toni solenni del protocollo internazionale, per quanto allietati dalla disinvoltura nordica, i giovani occupanti che da tre anni sono nello storico teatro romano hanno dunque ricevuto il “Princess Margriet Award”, riconoscimento che ogni anno va a quanti, in Europa, si fanno promotori di un cambiamento culturale, artistico e sociale.

E noi siamo andati fino a Bruxelles proprio per capire come l’Europa veda e valuti l’esperienza del Teatro Valle Occupato, che in Italia, come si sa, da un lato è oggetto di pesanti attacchi e critiche e, dall’altro, è difeso a spada tratta da quanti hanno condiviso la causa dell’occupazione.

La giornata, nella capitale belga, si è aperta con un convegno in cui l’ECF si è fatta promotrice di una riflessione ampia sul senso delle istituzioni culturali oggi. Coordinato da una brillante e acuta Maria Hlavajova, direttore artistico del Bak di Utrecht, i lavori si sono aperti all’insegna di una domanda fondante: “può una istituzione culturale porsi come interlocutore tra arte, politica e teorie sociali?”. In questa prospettiva, le nuove parole d’ordine, su cui riflettere sistematicamente – si dovrebbe anche nel devastato panorama italiano – sono “inclusione” e “interlocuzione”. Presente al convegno anche Chantal Mouffe, docente di Political Theory alla Westmister University di Londra, che ha puntato il dito sulla “crisi affettiva” nei confronti dell’Europa: “perché è finito l’entusiasmo per il progetto europeo?”. In realtà, dice Mouffe, si tratta di una crisi della incarnazione neoliberale di quello stesso progetto, e servono dunque soluzioni alternative. Citando anche Antonio Gramsci, Mouffe ha rilanciato la prospettiva di “creare affetti comuni per la creazione di un nuovo volere comune”, dando grande importanza al ruolo sociale degli artisti. Mouffe si è soffermata, poi, sul tema degli Agonistic Public Spaces: quegli spazi “alternativi” – diremmo noi – dove si può elaborare il dissenso collettivo, nella collaborazione con il lavoro artistico. Al convegno i giovani del Valle hanno preso la parola, ed era bello vederli rappresentati, nella sala piena del BOZAR di Bruxelles, soprattutto da donne. Prima la filosofa e giurista Federica Giardini, di UniRomaIII, che ha ricordato come, a fronte di un flusso culturale italiano spinto all’individualismo, l’occupazione è stata un momento per reinventare la collettività, “per pensare assieme, scegliendo assieme le parole”. Giardini si rifà all’Agorà, nell’ottica di inventare nuovi modi di agire assieme, producendo cultura. Sylvia De Fanti ha invece ricostruito – non senza ironia – la storia dell’occupazione, rimarcando però la sostanziale visione politica e sociale del progetto che si è andato elaborando nel corso del tempo.

Il “Princess Margriet Award” per il 2014 va anche a Teodor Celakovski, attivista croato che opera a Zagabria: nel suo intervento ha focalizzato le linee guida della sua azione, che mira al coinvolgimento e alla sensibilizzazione della cittadinanza.

Poi, conclusa la prima parte di lavori, si è passati alla cerimonia vera e propria, alla presenza della Principessa Margriet d’Olanda e della Commissaria europea alla cultura, Vassiliou. È stato Ugo Mattei a fare la prolusione per il Valle Occupato: “non sono un occupante, sono un avvocato” ha dichiarato Mattei, che si è lanciato in una articolata e appassionata discussione sul senso e il valore di parole come “legge”, “legalità” e “legittimità”. Per Mattei l’occupazione del Valle è stato un atto certo illegale, ma dopo pochissimo si è capito che quella illegalità si mutava in un senso di comunità critico nei confronti del modo di vivere attuale. Dunque, si chiede il giurista, anche ricordando il recente referendum in Crimea: “cosa significa illegale? Si può avere una visione della legge diversa dallo status quo? Si può cambiare la legge con la legge?”. Per Mattei l’esperienza del Valle pone l’attenzione su alcuni concetti chiave: networking, diffusione del potere e inclusione. Nell’emozione condivisa, e accompagnata da tanti applausi, la sparuta rappresentanza del Teatro Valle Occupato ha ricevuto l’ambito riconoscimento. Che si trasforma, simbolicamente, in una “patata bollente” per l’amministrazione locale e nazionale: se il Comune di Roma ha aperto un tavolo per lo studio di una “exit strategy” dell’Occupazione, di fatto a livello europeo questo tentativo di porre domande serie e concrete – non solo al sistema teatrale – viene valutato come foriero di sviluppi e di sicuro interesse. Insomma: per l’Europa è un modello da studiare, e incoraggiare, per Roma, qualcosa di imbarazzante, di cui sbarazzarsi in fretta (sennò chi le paga le bollette?).

Il nodo, qua, è la lungimiranza: come pensiamo la cultura a Roma tra cinque o dieci anni? Che ruolo hanno o avranno quelle “istituzioni culturali” che dovrebbero essere ponte e mediazione tra individuo e Stato?

Difficile scrivere queste righe mentre la magistratura sgombra un altro vivace centro cittadino come l’Angelo Mai, con accuse pesantissime.

Difficile ripiombare nell’immobilismo romano dopo aver “fiutato” anche solo per un giorno, quanto e come si stia sviluppando la discussione attorno alle politiche culturali internazionali. Difficile prendere atto che il lavoro da fare, nel “BelPaese”, il paese “della Cultura, dell’Arte e del Sole”, sia ancora tanto.

Resta, però, la sensazione della grande sala del BOZAR di Bruxelles, affollata di grandi attivisti (c’era, ad esempio, la straordinaria Borka Pavicevic, fondatrice del “Centro di Decontaminazione Culturale” di Belgrado, molto importante per il ruolo svolto dopo la guerra balcanica; c’era Stefan Kaegi, fondatore del gruppo tedesco Rimini Protokoll: entrambi premiati alle precedenti edizioni), accorsi per applaudire e sostenere quel manipolo di “sciamannati” che ancora si danna per far sì che la battaglia culturale in Italia non diventi una sconfitta collettiva.