L’onesto JagoAscanio Celestini e il 25 aprile di Roma

Ascanio Celestini Che bella Roma il 25 aprile! Al Pigneto, dove abito, la piazzetta si anima di stand di libri e dolci fatti in casa, in una festa “anarchica” popolare e divertente. Attorno ...

Ascanio Celestini

Che bella Roma il 25 aprile!

Al Pigneto, dove abito, la piazzetta si anima di stand di libri e dolci fatti in casa, in una festa “anarchica” popolare e divertente. Attorno a Caracalla, sul tardi, capita di incontrare una “Critical Mass” di ciclisti scanzonati che se la ridono del traffico e delle pattuglie di vigili. E accanto alle celebrazioni ufficiali – necessarie e condivise – ecco il concerto al Parco San Sebastiano, per cantare assieme all’attesa riapertura dell’Angelo Mai sgomberato.

Intanto chi ha riaperto, dopo cinque anni di sequestro (con assoluzioni piene e magari anche qualche imbarazzata scusa) è il Centro Sociale Rialto, in ghetto. Fucina di talenti e di pensiero, negli anni Dieci di questo nuovo secolo, il Rialto festeggia la riapertura con una tre giorni di piccoli eventi teatrali e musicali. A far da coordinamento è lo stesso gruppo degli “animatori” di allora, tra cui spicca Graziano Graziani, critico e studioso, il quale assicura un rinnovato slancio in termini di iniziative e residenzialità produttive per artisti. Ma non basta. Percorrendo la Prenestina si arriva al Quarticciolo, nel piccolo teatro diretto con cura da Veronica Cruciani che è, ormai, un imprescindibile punto di riferimento della scena teatrale romana e non solo: pasionaria come una Arianne Mnouchkine all’italiana, Veronica accoglie ogni sera gli spettatori del Teatro Biblioteca Quarticciolo, raccontando, spiegando, coinvolgendo tutti nelle innumerevoli iniziative.

Per il 25 aprile, Cruciani dice al suo pubblico che il “bando” (che noia e che farraginosità questo triste sistema finto-democratico dei “bandi”) grazie al quale ha “vinto” la gestione e direzione del Quarticciolo è già in scadenza. A giugno, se non cambia nulla, il gruppo che gravita attorno a Veronica Cruciani dovrà lasciare la struttura, proprio nel momento in cui il lavoro cominciava a dare i suoi migliori frutti. Servirebbe un ri-finanziamento (non le briciole di oggi), un respiro pluriennale, una chiarezza di indirizzo politico culturale a livello di amministrazione comunale che ora manca.

Si vive alla mezza giornata a Roma, in attesa del bilancio comunale, e così aumenta il cahier de doleance: il teatro Palladium sottratto alla Fondazione Romaeuropa e sostanzialmente chiuso; il Teatro di Roma ancora senza direttore da mesi; il teatro India chiuso ad libitum; il Macro praticamente abbandonato a se stesso, il teatro dell’Opera commissariato (per fortuna con un buon commissario); il Valle ancora coraggiosamente occupato (e anche qui c’è da dire menomale: ormai è l’unica “struttura” che regge seriamente!) e ora i “teatri di cintura” di nuovo a bando.

Insomma, non c’è da stare allegri: così non è allegro Ascanio Celestini, che al teatro del Quarticciolo ha presentato, proprio per il 25 aprile, Racconti: il Piccolo Paese.

Quale modo migliore, però, per festeggiare l’anniversario della Liberazione che non ascoltare questo artista sempre “contro”, sempre scomodo, ostinatamente impegnato a farsi testimone, a essere là dove succedono le cose?

Ascanio Celestini presenta dunque un collage, un florilegio di piccole narrazioni – molte delle quali edite – assemblandole, sera dopo sera, in base all’umore: e sembra essere un umor nero, cupo, ferocemente disincantato. Se nei precedenti lavori, l’autore e attore lasciava sempre un qualche spiraglio di possibilità, addirittura di speranza, qui il clima è ovattato, oscuro, grottesco fino al feroce cinismo. Sono flash, fotografie del declino, queste “parabole”: parlano del “piccolo paese” governato da Toni Mafioso o da Toni Corrotto, capi dei partiti dei mafiosi e dei corrotti che, in alternanza democratica, da sempre governano. Fanno e disfano come vogliono e non c’è più spazio per un popolo ormai rassegnato a tutto. I racconti si inseguono al ritmo vorticoso della narrazione cui ci ha abituato Ascanio: parole velocissime, taglienti, ossessive. E se pure lo “sciopero dei filosofi” – ovvero la perdita del pensiero – potrebbe mettere in crisi il governo di Toni Mafioso, nulla cambia. L’individuo – che sia il solitario seduto in poltrona incapace di reagire a un semplice lavandino che perde, o il folle che si confessa da una stanza di un improbabile manicomio, o ancora l’aspirante “bombarolo” – il singolo, dicevo, sembra non avere più la forza di reagire: Celestini condanna senza appello l’apatia di tutti e ciascuno. Anche in questi Racconti, un lavoro agile, quasi d’occasione, Ascanio Celestini ha composto le tessere di un puzzle sentimentale, emotivo, politico, sociale di formidabile intensità: solo in scena, come sempre, partendo dal racconto di sé e dell’ansia che lo (ci) attanaglia, Celestini affronta di petto le contraddizioni, i nodi, le tensioni di questa Italia. Poco importa se si ride, e tanto, con i suoi apologhi: quel che rimane, poi, usciti dal teatro è l’amara consapevolezza che quella Liberazione, quel 25 aprile, non solo dovrebbe essere festeggiata più di natale o della befana (o dell’orrido Halloween), ma forse, anzi, devono essere ripetuti, replicati, rivissuti tutti i giorni prima, tutti i mesi di lotta e di resistenza che portarono a quel risultato.

Oggi, anche più di allora, ritrovare la forza per combattere e liberare assieme il Piccolo Paese.

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