Con la Cultura non si scherza in Francia: l’incasso rappresenta 3% del Pil, un capitale che va quindi difeso dall’alto.
L’“eccezione culturale” – lo statuto speciale stabilito l’anno scorso dal governo francese per tutta la produzione artistica (dal cinema alla letteratura alla musica) per sfuggire al mercato americano – si trasforma quest’anno in vera e propria maratona incarnata dalla ministra Filippetti per l’appunto confermata nel recente rimpasto di governo.
Nel week-end si è tenuto a Parigi il Forum de Chaillot che ha riunito 15 ministri della Cultura europei intorno al tema di una politica culturale comune in Europa. Presenti anche autorevoli personalità del gotha culturale: i dirigenti delle principali aziende culturali come Dailymotion ; Lescure il nuovo direttore del Festival di Cannes (nonché ex-direttore di Canal+ la potente tv privata) ; le impopolari istituzioni del diritto d’autore ; e alcuni artisti, tra cui il più famoso Peter Brook ormai più che accademico. Tutti impazienti di dibattere e partecipare alla pianificazione culturale in Europa.
La delegazione italiana guidata da Franceschini includeva Pistoletto per l’arte e Lucchetti per il cinema, entrambi rappresentanti della stessa cultura in Italia (nella galassia del gallerista Pieroni).
Tra un mese ci sono le elezioni europee e sul tavolo la Francia ha voluto mettere anche la cultura, troppo a lungo esclusa dal dibattito e dalle negoziazioni a causa della crisi. E’ più che audace lo slogan della campagna: “La cultura non è un lusso”, ma una spesa imprescindibile per democrazie sane.
Per la Francia è vietato sacrificare la cultura perfino in tempi di carestia. Basta tagli, anzi al Forum di Chaillot la cultura è stata addirittura presentata come rimedio anti-estremismi – è palpabile l’angoscia della progressione elettorale di Grillo e Le Pen, due fenomeni ormai equiparati.
Il Presidente Hollande ha perciò aperto in persona il Forum Chaillot, prova che il suo interesse per la cultura supera l’affaire Gayet. Ma scherzi a parte la presenza di Hollande vuole soprattutto confermare l’autorità dello Stato sempre molto dominante nella gestione degli interessi culturali francesi.
In Italia a un anno dell’Expo di Milano, lo Stato fa invece affidamento sui privati. Non a caso due nuovi centri d’arte apriranno in concomitanza con l’Expo nel 2015: le fondazioni Fendi e Prada, lanciatissime sul fronte del mecenatismo, mobilitano artisti e galleristi da Roma a Milano. Due archistar firmano i progetti, Jean Nouvel per la Fendi e Rem Koolhas per Prada benedetti dai Comuni per aver scelto la riqualificazione urbana.
Insomma la febbre sale nel mondo culturale italiano: dalla visita proficua (milioni di dollari iniettati nell’Expo) di Obama a Roma alla linea europea di Chaillot nuovi connubi tra moda e arte, tra economia e cultura, si stanno creando ma senza un rigore storico.
Nel weekend, il gallerista storico Pio Monti a cavallo tra l’arte d’avanguardia di De Dominicis e l’arte commerciale ha reso pubblico un sodalizio con Alda Fendi (vedi Il Corriere di Venerdì 4 Aprile) lasciando indovinare senza grandi sorprese quale gruppo di artisti verrà promosso a scapito di altri più scomodi.
Eppure è facile prevedere che l’anarchia culturale italiana andrà prima o poi a scontrarsi con gli standard europei, razionali e gerarchici non solo per questioni di mercato. Fare una cultura europea significa ordinare per gradi e meriti la produzione artistica-culturale e strutturarla ugualmente in ogni nazione.
La buona notizia è che con gli standard culturali europei uguali per tutti, le incoerenze (e gli imbrogli) hanno le ore contate.
Presto sarà inevitabile una rivalutazione della scala dei valori. I musei dovranno mettere da parte i metodi arbitrari di selezione.
Contro l’Europa o no, l’Italia deve confrontarsi con l’eccellenza europea: ad un artista francese/tedesco dovrà rispondere un artista italiano/spagnolo dello stesso calibro, pena la competizione con l’America.