La City dei TartariL’Italia, la California. Or else.

"Prima di investigare la natura di una costituzione ideale, dobbiamo determinare la natura della piu' desiderabile maniera in cui vivere. Fino a quando questa rimarra' oscura, allora anche la natu...

“Prima di investigare la natura di una costituzione ideale, dobbiamo determinare la natura della piu’ desiderabile maniera in cui vivere. Fino a quando questa rimarra’ oscura, allora anche la natura della costituzione continuera’, giocoforza, ad essere oscura”

Aristotele – Politica

L’Italia ha una sua California interna, negli spazi che si aprono fra una citta’ e l’altra, mi dice un americano al bar di una stazione di servizio della Val di Chiana. E’ un signore ben tenuto, vestito con materiali high tech e particolari di cuoio e tessuti pregiati, una barba ben curata ed occhiali di osso. Mi dice, abita da qualche parte fra Arezzo e Siena, in un casolare, da tanti anni. Scrive, pensa, coltiva le amarene.

L’Italia ha questo potenziale inespresso, negli spazi enormi ed ormai abbandonati fra le conurbazioni rural-residenziali. Dategli infrastrutture, ponti, fibra, continua questo Hemingway denoartri, e l’idea che non esistano piu’ citta’ e contado, ma solo un unico paese da risollevare. A partire dai borghi arroccati sul tufo e dalle masserie sotto al sole del sud. Sorride, il signore, prima di bersi un caffe’ e chiedermi se ne voglio uno anch’io. ‘Offerto, non sospeso’, chiosa. Paga, mi da la mano ed esce, passeggiando nel panorama di campi di grano, uliveti e magazzini con annessi appartamenti, un calesse con due cavalli gli taglia la strada. ‘La California e’ qua!’ – urla dall’altra parte della strada, sotto al sole di un nervoso e secco Aprile di transizione.

Devo attraversare il paese, dall’Aretino, fino all’Isola d’Elba, in un giorno. Mi sento come se su questo foglio bianco di futuri possibili e radiosi, nascosti da qualche parte, operassi un taglio alla Fontana, con la mia autoradio attorno a cui hanno costruito una macchina.

Ed allora, che sia la strada, che siano i cartelli astrusi, di luoghi la cui toponomastica non riesco a comprendere, queste frazioni all’interno dell’interno, su strade vicinali, con nomi, appunto, Californiani, come ‘Chiesa’, ‘Malavalle’, ‘Pietragrossa’. E campi sportivi e biblioteche comunali ovunque. L’Italia e’ il mio personale Idaho, da esplorare, strade vuote, vuotissime, fuori dalle autostrade e superstrade. Amo scivolare in queste tangenti, farmi sorprendere da quello che non mi aspetterei mai, come una cappella povera e miserrima, ma ricolma di quella dignita’ e civilta’ contadina da cui arriviamo tutti, quella fase 1 della rivoluzione cattosocialista del paese, che permise ai figli dei contadini di diventare professori, avvocati, costruttori, quella mobilita’ empirica, sociale, che, nelle parole dell’amico Simone Lenzi, e’ il vero discrimine fra progressismo e conservazionismo del potere. E questa Italia della mobilita’ sociale e’ nascosta nelle pieghe delle valli, prende autobus e treni inefficienti ogni giorno, studia e si prepara o fa il suo lavoro al massimo delle sue possibilita’. Con la speranza che gli orizzonti si possano allargare, con l’idea che dovrebbe arrivare prima o poi una spinta che acceleri la storia delle valli interne, delle isole, delle mille Italie nascoste dentro lo stivale. Da queste strade e tratturi che attraverso, e’ passata la storia, dal ponte della Pia, in val di Merse, imperatori, papi, scrittori e poeti.

E il paese sente a pelle l’urgenza del momento nuovo, di un nuovo che accade dove prima non c’era niente, di una trasformazione antropologica del paese, che parte da uno spazio aperto, in cui possiamo immaginarci palazzi, strade, persone, dove le relazioni economiche sono diverse da prima, alimentate, si spera, sempre piu’ dalla velocita’ cerebrale e digitale di tempi moderni splendidi e terrificanti.

Societa’ nuova, non in crescita, si badi bene, una societa’ che necessariamente deve forse abbandonare alcune ipotesi e sintesi che hanno impedito al paese di crescere e di ricambiarsi per oltre trenta anni. Dobbiamo uscire fuori dalla schiavitu’ della marginalita’, che sia quella produttiva che quella sociale. Lo penso, mentre la macchina e’ ora lanciata lungo la Val d’Ambra, mi porta all’Abbazia di Buori, un fuori programma, una di quelle diversioni dei miei viaggi in solitaria, quando decido di voler seguire una di quelle indicazioni stradali, di abbazie e castelli di eoni fa. Come se, per un attimo, per una mezz’ora, volessi interessarmi a quel paese nascosto, intimo e fecondo di bellezza.

L’Italia dei miracoli operosamente costruiti, come una statua di, credo, Bernardette, a cui qualcuno ha messo una lampadina in mano. Un miracolo di luce, di progresso, da accendere con parsimonia, come, con oculatezza, i centri dei paesini della provincia italiana sorgono con le case una a ridosso delle altre, le chiese e le abitazioni inglobate in strutture uniche, senza quasi soluzione che non sia quella di materiali diversi, marmi, mattoni, bugnati. L’Abbazia di Buori, con la sua facciata talmente sconnessa e non allineata che racconta di praticita’ sopra la geometria brunelleschiana, un’asimmetria rara, unica, perfetta quasi. Le porte delle chiese sempre chiuse quando vorresti entrare dentro e chiedere, agli esseri trafitti sugli altari, ai santi irrevocabilmente convocati in riunioni condominiali dell’Altissimo, un senso, un’illuminazione, come la statuetta di porcellana, in questi anni nebulosi, scuri.

Come dice Aristotele, senza una logica nuova di bene, personale e collettivo, non esiste costituzione. Allora, immaginiamocelo, questo nuovo e nobile mondo in cui

politica, ruralita’, cultura e finanza possano dialogare, un mondo dove giustizia e benessere possano essere intrecciati in un sistema virtuoso e non di posizioni antesignane. Una scossa antropologica, evolutiva, e’ il miglior augurio per questo paese e gli altri, in Europa, che stanno, al momento, reinventando o ricalibrando i soliti strumenti di politica economica, fra istanze di liberismo del capitalismo generazionale (e leggermente gerontocratico) e una vaga impressione di populismi contabili, affiancati da forme di riduzione dell’impatto dello stato sulla vita civile. La frenesia del taglio della spesa, del beneficio fiscale tradotto in soldoni e l’affiancamento di ipotesi di crescita, come se ogni lira risparmiata a Sparta diventasse una spesa nel Mall di Atene.

Invece, il Nuovo, quello vero, che ancora non vediamo, potrebbe arrivare, rivelarsi, e cambiare, ripeto, mai come ora, il mondo attorno a noi: velocita’ e immanenza del cambiamento ci prenderanno di sorpresa. Inclusi legislatori e rottamatori. Come il mare che non ti aspetti, quando scendi dalle curve di Prata e di Massa Marittima e che, all’improvviso, si manifesta come una lama azzurra, all’inizio opalescente e poi di un blu deciso e coeso.

Il mio taglio attraverso il paese in fieri e’ arrivato in fondo. Il traghetto di bassa stagione e’ un altro viaggio dentro ad un ulteriore paese minimo, apparentemente secondario, ma, in fondo, un altro motore primario. Ed ogni volta rimango rapito dalle coste dell’Elba, da chi ne viene affascinato la prima volta, come un ragazzo che, quasi sospeso dalla motonave, sussurra alla sua fidanzata al telefono ‘e’ bellissimo, ti vorrei qui’. Ed in fondo, qui, ora, in questo paese che, nonostante tutto, nonostante la piccola violenza laterale, nonostante l’arroganza di chi ci ha impedito di diventare nazione adulta, ergo, sempre piu’ giovane e rapida, vorrei ci fossero tante persone che un’Italia migliore la hanno desiderata e voluta.

La sensazione, sulla spiaggia della Biodola, il mio punto di approdo, e’ che, sotto la matassa di detriti e di porcherie lasciate dalle mareggiate invernali, come nel paese abbandonato a se stesso, ai marosi della modernita’, si possa ancora trovare una bellezza e, sorpresa, impronte sulla sabbia dorata, da seguire, per darci un senso, e, dopo, se ci parra’, una costituzione nuova di pacca. Imposta da un’antropologia nuova dell’Italiano Europeo. O del Californitaliano, un cittadino liberato dalle paure, di sbagliare, di fallire, di danneggiare un potente od un capobastone, un cittadino che viva le giornate non piu’ con preoccupazione, ma eccitazione per il futuro. La California interna. Ma anche un Idaho, personale e pieno di spazi a cui dare direzione.

‘Tu, lo sai, cosa mi manca? La sete e la fame, mi mancano i crampi e il senso di dover scrivere, ripensare il futuro, perche’ tanto, si sa, le memorie tendono ad evaporare nell’aria fine’ K.J. Okker – “Disse Lui”

Soundtrack

Oppressed by the lines -Paper Cranes

“Prima di investigare la natura di una costituzione ideale, dobbiamo determinare la natura della piu’ desiderabile maniera in cui vivere. Fino a quando questa rimarra’ oscura, allora anche la natura della costituzione continuera’, giocoforza, ad essere oscura”

Aristotele – Politica

L’Italia ha una sua California interna, negli spazi che si aprono fra una citta’ e l’altra, mi dice un americano al bar di una stazione di servizio della Val di Chiana. E’ un signore ben tenuto, vestito con materiali high tech e particolari di cuoio e tessuti pregiati, una barba ben curata ed occhiali di osso. Mi dice, abita da qualche parte fra Arezzo e Siena, in un casolare, da tanti anni. Scrive, pensa, coltiva le amarene.

L’Italia ha questo potenziale inespresso, negli spazi enormi ed ormai abbandonati fra le conurbazioni rural-residenziali. Dategli infrastrutture, ponti, fibra, continua questo Hemingway denoartri, e l’idea che non esistano piu’ citta’ e contado, ma solo un unico paese da risollevare. A partire dai borghi arroccati sul tufo e dalle masserie sotto al sole del sud. Sorride, il signore, prima di bersi un caffe’ e chiedermi se ne voglio uno anch’io. ‘Offerto, non sospeso’, chiosa. Paga, mi da la mano ed esce, passeggiando nel panorama di campi di grano, uliveti e magazzini con annessi appartamenti, un calesse con due cavalli gli taglia la strada. ‘La California e’ qua!’ – urla dall’altra parte della strada, sotto al sole di un nervoso e secco Aprile di transizione.

Devo attraversare il paese, dall’Aretino, fino all’Isola d’Elba, in un giorno. Mi sento come se su questo foglio bianco di futuri possibili e radiosi, nascosti da qualche parte, operassi un taglio alla Fontana, con la mia autoradio attorno a cui hanno costruito una macchina.

Ed allora, che sia la strada, che siano i cartelli astrusi, di luoghi la cui toponomastica non riesco a comprendere, queste frazioni all’interno dell’interno, su strade vicinali, con nomi, appunto, Californiani, come ‘Chiesa’, ‘Malavalle’, ‘Pietragrossa’. E campi sportivi e biblioteche comunali ovunque. L’Italia e’ il mio personale Idaho, da esplorare, strade vuote, vuotissime, fuori dalle autostrade e superstrade. Amo scivolare in queste tangenti, farmi sorprendere da quello che non mi aspetterei mai, come una cappella povera e miserrima, ma ricolma di quella dignita’ e civilta’ contadina da cui arriviamo tutti, quella fase 1 della rivoluzione cattosocialista del paese, che permise ai figli dei contadini di diventare professori, avvocati, costruttori, quella mobilita’ empirica, sociale, che, nelle parole dell’amico Simone Lenzi, e’ il vero discrimine fra progressismo e conservazionismo del potere. E questa Italia della mobilita’ sociale e’ nascosta nelle pieghe delle valli, prende autobus e treni inefficienti ogni giorno, studia e si prepara o fa il suo lavoro al massimo delle sue possibilita’. Con la speranza che gli orizzonti si possano allargare, con l’idea che dovrebbe arrivare prima o poi una spinta che acceleri la storia delle valli interne, delle isole, delle mille Italie nascoste dentro lo stivale. Da queste strade e tratturi che attraverso, e’ passata la storia, dal ponte della Pia, in val di Merse, imperatori, papi, scrittori e poeti.

E il paese sente a pelle l’urgenza del momento nuovo, di un nuovo che accade dove prima non c’era niente, di una trasformazione antropologica del paese, che parte da uno spazio aperto, in cui possiamo immaginarci palazzi, strade, persone, dove le relazioni economiche sono diverse da prima, alimentate, si spera, sempre piu’ dalla velocita’ cerebrale e digitale di tempi moderni splendidi e terrificanti.

Societa’ nuova, non in crescita, si badi bene, una societa’ che necessariamente deve forse abbandonare alcune ipotesi e sintesi che hanno impedito al paese di crescere e di ricambiarsi per oltre trenta anni. Dobbiamo uscire fuori dalla schiavitu’ della marginalita’, che sia quella produttiva che quella sociale. Lo penso, mentre la macchina e’ ora lanciata lungo la Val d’Ambra, mi porta all’Abbazia di Buori, un fuori programma, una di quelle diversioni dei miei viaggi in solitaria, quando decido di voler seguire una di quelle indicazioni stradali, di abbazie e castelli di eoni fa. Come se, per un attimo, per una mezz’ora, volessi interessarmi a quel paese nascosto, intimo e fecondo di bellezza.

L’Italia dei miracoli operosamente costruiti, come una statua di, credo, Bernardette, a cui qualcuno ha messo una lampadina in mano. Un miracolo di luce, di progresso, da accendere con parsimonia, come, con oculatezza, i centri dei paesini della provincia italiana sorgono con le case una a ridosso delle altre, le chiese e le abitazioni inglobate in strutture uniche, senza quasi soluzione che non sia quella di materiali diversi, marmi, mattoni, bugnati. L’Abbazia di Buori, con la sua facciata talmente sconnessa e non allineata che racconta di praticita’ sopra la geometria brunelleschiana, un’asimmetria rara, unica, perfetta quasi. Le porte delle chiese sempre chiuse quando vorresti entrare dentro e chiedere, agli esseri trafitti sugli altari, ai santi irrevocabilmente convocati in riunioni condominiali dell’Altissimo, un senso, un’illuminazione, come la statuetta di porcellana, in questi anni nebulosi, scuri.

Come dice Aristotele, senza una logica nuova di bene, personale e collettivo, non esiste costituzione. Allora, immaginiamocelo, questo nuovo e nobile mondo in cui

politica, ruralita’, cultura e finanza possano dialogare, un mondo dove giustizia e benessere possano essere intrecciati in un sistema virtuoso e non di posizioni antesignane. Una scossa antropologica, evolutiva, e’ il miglior augurio per questo paese e gli altri, in Europa, che stanno, al momento, reinventando o ricalibrando i soliti strumenti di politica economica, fra istanze di liberismo del capitalismo generazionale (e leggermente gerontocratico) e una vaga impressione di populismi contabili, affiancati da forme di riduzione dell’impatto dello stato sulla vita civile. La frenesia del taglio della spesa, del beneficio fiscale tradotto in soldoni e l’affiancamento di ipotesi di crescita, come se ogni lira risparmiata a Sparta diventasse una spesa nel Mall di Atene.

Invece, il Nuovo, quello vero, che ancora non vediamo, potrebbe arrivare, rivelarsi, e cambiare, ripeto, mai come ora, il mondo attorno a noi: velocita’ e immanenza del cambiamento ci prenderanno di sorpresa. Inclusi legislatori e rottamatori. Come il mare che non ti aspetti, quando scendi dalle curve di Prata e di Massa Marittima e che, all’improvviso, si manifesta come una lama azzurra, all’inizio opalescente e poi di un blu deciso e coeso.

Il mio taglio attraverso il paese in fieri e’ arrivato in fondo. Il traghetto di bassa stagione e’ un altro viaggio dentro ad un ulteriore paese minimo, apparentemente secondario, ma, in fondo, un altro motore primario. Ed ogni volta rimango rapito dalle coste dell’Elba, da chi ne viene affascinato la prima volta, come un ragazzo che, quasi sospeso dalla motonave, sussurra alla sua fidanzata al telefono ‘e’ bellissimo, ti vorrei qui’. Ed in fondo, qui, ora, in questo paese che, nonostante tutto, nonostante la piccola violenza laterale, nonostante l’arroganza di chi ci ha impedito di diventare nazione adulta, ergo, sempre piu’ giovane e rapida, vorrei ci fossero tante persone che un’Italia migliore la hanno desiderata e voluta.

La sensazione, sulla spiaggia della Biodola, il mio punto di approdo, e’ che, sotto la matassa di detriti e di porcherie lasciate dalle mareggiate invernali, come nel paese abbandonato a se stesso, ai marosi della modernita’, si possa ancora trovare una bellezza e, sorpresa, impronte sulla sabbia dorata, da seguire, per darci un senso, e, dopo, se ci parra’, una costituzione nuova di pacca. Imposta da un’antropologia nuova dell’Italiano Europeo. O del Californitaliano, un cittadino liberato dalle paure, di sbagliare, di fallire, di danneggiare un potente od un capobastone, un cittadino che viva le giornate non piu’ con preoccupazione, ma eccitazione per il futuro. La California interna. Ma anche un Idaho, personale e pieno di spazi a cui dare direzione.

‘Tu, lo sai, cosa mi manca? La sete e la fame, mi mancano i crampi e il senso di dover scrivere, ripensare il futuro, perche’ tanto, si sa, le memorie tendono ad evaporare nell’aria fine’ K.J. Okker – “Disse Lui”

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