La piu’ grande forma di provocazione e’ la memoria, quel giardino di rose e di esperienza che appartiene a tutti, che portiamo dentro, nell’intorno di terminazioni fra cuore e testa. Esiste una memoria protesa al passato, che ci ricorda come fossero le cose quando andavano meglio o che ci riporta di fronte, con la solita violenza e devastante chiarezza, momenti della nostra vita personale e di quella collettiva. La memoria che ci fa tornare alla mente dolori e sofferenze o, per fortuna, spesso, ci fa sentire allineati ad una forma di vibrazione universale, ci fa sentire che alcune cose che sentiamo sono giuste, giustissime e che tutto ne vale la riconquista. Ma la grande provocazione e’ la memoria protesa al futuro, ad un domani che sappiamo nascere oggi e che vogliamo inventarci e costruirci, partendo dall’immagazzinare memorie e esperienze oggi.
Ed e’ una provocazione, prima di tutto verso se stessi e la natura stessa della vita che sappiamo essere transiente e volatile, quasi quanto le borse in questi anni neuromantici. La memoria di quello che sara’ e’ fondamentale, perche’ ci permette di vivere il presente, l’adesso, gia’ come una lezione per il futuro, ci fa pensare oggi quello che vorremmo immaginarci domani. E’ la mente degli architetti e dei progettatori che funziona cosi’, e’ la mente strutturata del Nairns architetto che raccontava le citta’ inglesi alla radio negli anni Sessanta, ed e’ la mente dei politici illuminati, quelli che usano il momento estemporaneo per costruire una visione, per costruire non tanto castelli sulla sabbia, ma una strada, un viottolo, un percorso, su cui far incamminare una nazione, un continente, una frazione. Perche’ la memoria provoca, fa muovere, fa agitare e fa promettere qualcosa che magari non si manterra’, ma che sappiamo essere raggiungibile. Tutti i piani sono sottoposti allo scrutinio del tempo e delle ristrettezze sociali ed economiche, ma nessuno ci vieta di pensare che domani sia un domani migliore, che ci siano dei passi, lenti, elefantiaci, da colosso di marmo, che vanno fatti. Ed ecco che la memoria continua a stuzzicarci, come se dovessimo fare il carico dell’energia di questi giorni fraudolenti ed inaspettati di cambiamento. Cambiamento personale, il mio, nelle nuove sfide enormi che mi trovo sul tappeto, sul tavolo del lavoro e nelle parti della mia testa che devo riorganizzare e ristrutturare, come se formattassi la materia grigia. E, dall’altro lato, l’esigenza di continuare ad immaginare un futuro adeguato ed a misura della mia memoria di bello e giusto, di onesto, chiaro, possibile, che diventa, esigo che diventi, storia prima possibile. Questa memoria del futuro, asservita a gestire bene le poche decine di metri quadri datemi in affido dal destino, le gambe che corrono nel parco con le scarpette di gomma, il lavoro in cui devo mettere ogni energia e passione che possiedo. Questa memoria del futuro spero un giorno diventi una memoria del passato. Per potermi sedere su una panchina di qualche parco del mondo, magari in una primavera costante e serena, a lasciare che il morbo gentile della memoria senza rimpianti ma con tante lacrime, entri e modelli l’annebbiarsi della mente. Come se ogni cosa cominciasse sempre piu’ a scintillare, a diventare sfocata ed in quel momento tutto diventasse pieno di senso, perche’ tutto si mescolera’ in un solo colore. La panchina del parco dove qualcuno, anche anni dopo che me ne saro’ andato, lascera’ una rosa, come ho visto fare in alcune occasioni nei giardini pubblici inglesi. Una rosa legata allo schienale, un biglietto per qualcuno che lo ricorda, che lo evoca, come se fosse una presenza ancora ben presente. Come se la sua anima fosse dentro la panchina da cui osservava il mondo che passava. A noi, ancora, e’ chiesto anche di cambiarlo il mondo, di muoverci, di darci da fare. E fino a quando non saremo seduti sulla panchina, pensierosi ed assorti, nel baluginare di diotrie e di neuroni, ci sara’ tanto da fare, ci saranno tanti passi da fare, persone da rivedere, con cui parlare e confermarci, ad ogni stazione di questo viaggio, che, se siamo arrivati qui, assieme, seppure in paesi e posti separati, e’ perche’ condividiamo questa memoria perenne del futuro, abbiamo di fronte un punto di arrivo qualsiasi sia la condizione della strada, con buona pace di Kafka e di Sufjian Stevens. La radicale scelleratezza del pop e l’anelito di voler essere partecipi, protagonisti di questi tempi anodini ma, da qualche tempo, sempre piu’ pieni di speranza.
Non parlo di politica dei risultati elettorali, ma di quella di persone, volti, mani, sorrisi, di abbracci rubati ad una corsa verso un treno, verso un podio, verso altre mani, verso altri volti. Verso il mondo, quel mondo che ha bisogno di tutta la nostra memoria, passata, futura e presente. Isole comprese.
P.S. Un post oscuro, di quelli a cui vi dovrete abituare, se non fosse che mentre lo scrivevo rivedevo di fronte quella memoria attiva di persone che mi hanno fatto ricredere negli ultimi cinque anni che la speranza fosse scomparsa dal paese silenzioso. You know who you are. I know where you live: Merano, Palermo, Londra, Monaco, Firenze, Sesto, Washington, Rio nell’Elba, Napoli, Pontremoli, Roma e Santi Cosma e Damiano (LT).
Soundtrack
The pain of being pure at heart – Eurydice
REM – World Leader Pretend