Povera democrazia e povera Europa. Gia’ le elezioni hanno messo in luce una massa di problemi; appena passate, i governi ci aggiungono del loro. Del resto, questo blog aveva anticipato i guai della democrazia europea (si vedano: ‘Grande coalizione…dimenticata dai politologi?, http://www.linkiesta.it/blogs/giovine-europa-now/grande-coalizionediment…, e ‘Il sogno europeo prigioniero della Grosse Koalition’, http://www.linkiesta.it/blogs/giovine-europa-now/il-sogno-europeo-prigio…). Sembra pero’ che per i leader del vecchio continente non ci sia limite al peggio; nel giro di pochi giorni abbiamo sentito di un mandato esplorativo al ‘tecnico’ van Rompuy e soprattutto di indiscrezioni su una possibile calata da Washington di Christine Lagarde, la direttrice del Fondo Monetario Internazionale e simbolo della ‘trojka’ che ha ridotto allo stremo Grecia ed Europa meridionale. Complimenti.
Nel Parlamento europeo, una grande coalizione e’ inevitabile. Come previsto, ne’ i partiti di centro destra ne’ quelli di centro sinistra hanno avuto la maggioranza. Il primo partito in realta’ e’ l’astensionismo (56.91% degli aventi diritto), ma e’ meglio evitare un’ironia fin troppo amara. I Popolari europei (EPP) si sono fermati a 214 seggi, 51 in meno di cinque anni fa; il PES (Socialisti) e’ salito a quota 189, guadagnandone quattro. Per il resto, il voto si e’ largamente disperso, a destra come a sinistra. Solo una grande coalizione (con almeno EPP e PES al suo interno) potra’ dunque sostenere la Commissione europea; ed infatti, ne’ Juncker ne’ Schulz possono considerarsi pienamente vincitori di questa elezione. Sui limiti di una grande coalizione, per la democrazia ed il funzionamento dell’Unione, si e’ gia’ scritto; difficile possa venirne fuori qualcosa di buono, soprattutto per un continente in emergenza.
Nonostante l’emergenza, i capi di Stato e di Governo hanno preso tempo. E hanno assegnato un mandato esplorativo al grigio Herman van Rompuy, un economista di lungo corso le cui credenziali sono peraltro compromesse dal suo ruolo (presidente del Consiglio europeo) in questi anni bui della crisi (2009-2014). Per quanto Juncker e Schulz non siano leaders di appeal popolare, quanto meno hanno le legittimazione dei rispettivi partiti e di una parte degli elettori europei. Van Rompuy e i leaders nazionali, no. Perche’ il Parlamento europeo deve ancora una volta essere defraudato? Perche’ la scelta dei partiti di indicare i candidati alla presidenza della Commissione – l’unico elemento di novita’ di queste elezioni – viene calpestata? Vogliamo una democrazia europea o no? Altrimenti, teniamoci una semplice area di libero scambio (che tanto piacerebbe ad americani e inglesi) oppure torniamo alla politica nazionale. E’ chiaro che i cittadini, storditi dalle alchimie della politica/tecnocrazia di Bruxelles, non si fidano piu’ e assecondano le facili promesse dei populisti, soprattutto di quelli nazionalisti.
Quanto a questi ultimi, le recenti elezioni ne hanno messo in luce una grande varieta’. Assegnare etichette non e’ facile e a volte neppure utile. Lo United Kingdom Independence Party (UKIP) ha un profilo soprattutto euroscettico, con venature xenofobe che non lasciano affatto tranquilli. Il Front National (FN) di Marine Le Pen esprime un nazionalismo piu’ aggressivo e una forte spinta anti immigrazione. Comunque li si voglia giudicare, anziche’ attaccare o criminalizzare per partito preso, occorrerebbe capire perche’ nelle due piu’ antiche e simboliche grandi democrazie europee (Gran Bretagna e Francia) i partiti tradizionali non ce l’hanno fatta. Cameron e soprattutto Hollande sono finiti gambe all’aria, con le loro forze politiche appena terze nei rispettivi paesi. Il vero problema e’ che i cosiddetti ‘populisti’ riempiono un vuoto, che e’ stato in primis creato dalla democrazia tradizionale. E’ bene tenerlo a mente, prima che si arrivi alla degenerazione che gia’ caratterizza forze quali il PVV olandese di Wilders, apertamente islamofobico, gli ungheresi di Jobbik (giudeofobici), i neonazisti greci di Alba Dorata e quelli tedeschi dello NPD di Udo Voigt, che nel 2004 fu condannato per avere elogiato Adolf Hitler. Da qualche giorno Herr Voigt e’ un europarlamentare. Che ne pensa Angela Merkel?
Forse e’ indaffarata a pensare alla disoccupazione, che in Germania non raggiunge le punte del resto d’Europa, ma…per quanto ancora? Parlando di numeri effettivi, anziche’ di percentuali, i disoccupati in Germania sono (Maggio 2014) oltre 2,900,000; in Francia, 3,364,000, circa il 10.4% della forza lavoro. In Italia il dato del 13% e’ fuorviante; in effetti, esso esclude i disoccupati volontari, i sottopagati, i ‘finti’ occupati con contratti precari, etc. I part timers involontari, secondo Eurostat, sarebbero circa dieci milioni in tutta la UE; cifra che si aggiunge ai 19 milioni di disoccupati ‘ufficiali’. L’Unione continua a riempirsi la bocca di lavoro e giovani, ma in concreto che cosa fa? Prende atto. Curiosamente, quasi a quadrare il cerchio, tra i principali responsabili di questa mattanza sociale c’e’ proprio la signora Lagarde, che indiscrezioni da fonti importanti (The Telegraph; Il Sole 24 Ore; altri media hanno poi ripreso) vorrebbero candidata favorita di Angela Merkel alla Commissione Europea.
Non c’e’ poi da essere troppo stupiti. La Germania in fondo ha sempre sostenuto l’austerity, anche per tenere a bada i mercati finanziari oltre Atlantico, che sarebbero lieti di azzannarne un’economia reale fondamentalmente stagnante e banche in difficolta’ (recentemente il fondo sovrano del Qatar e’ intervenuto a fornire liquidita’ a Deutsche Bank, ad esempio). Chiusa a Est da Putin, che potrebbe far saltare le forniture di gas, e a Ovest dal Regno Unito, che chiede meno Europa, Angela Merkel strizza l’occhio a una candidata che piace a Washington (e all’eurofobico Economist) ed e’ anche francese. E dire che (Guardian, 5 giugno 2013) Lagarde aveva ammesso: ‘We failed to realise the damage austerity would do to Greece’. Comunque vadano a finire le cose, la potenziale presidente Lagarde ha sbagliato, ha ammesso di avere sbagliato e ora viene ‘tirata in mezzo’ da Angela Merkel senza avere alcuna legittimazione popolare, a differenza dei vari Juncker che, pur con i loro limiti, almeno si sono battuti nell’agone elettorale. Ma allora che cosa abbiamo votato a fare?
Resta peraltro vero che l’Europa non reagisce. Immobile, stordita, continua ad accettare compromessi al ribasso o imposizioni dall’alto. E’ un comportamento irresponsabile, non solo per gli elettori e le assemblee rappresentative, ma anche di fronte a intere generazioni, che sono state fin troppo pazienti e non si sono accorte di essere fondamentalmente circuite.