Nel retro della nostra casa di Londra c’è una veranda che si apre sul giardino, una specie di ‘utility room’, come la chiamano qui, dove tenere biciclette, la lavatrice, ogni cosa di ingombrante ma modulare, come una specie di tetris familiar, dove le cose cambiano posto, collocazione sulla base dell’umore e delle esigenze. La nostra veranda ha i muri di vetro e, la mattina, quando sono a casa e riesco ad alzarmi presto, indugio sulla sua porta, di fronte al giardino con l’erba verde resa ancora piu’ brillante dalla rugiada, che agisce come una lente ad ingrandimento della clorofilla. Qualche giorno fa, mentre bevevo un ennesimo caffe’, ho sentito un ronzio violento e disperato. Non il solito rumore di un calabrone che picchietta un vetro od una superficie, in cerca di una via di uscita. Ho sentito che era diverso, un grido piu’ che una reazione ad una serie di capocciate ostinate delle api, quando seguono la luce ma ignorano, per motivi di assenza di cultura e di tramandazione di esperienze, che esistano superfici trasparenti che impediscono il passaggio. Dai miei ricordi dei documentari del National Geographic, deve essere difficile spiegare ‘attento che esiste il plexiglass’ solo emettendo un rumore, “bzzzz”, e ancheggiando furiosamente su un mare di miele.
Con la tazza in mano sono uscito nella veranda e, seguendo la linea immaginaria fra le mie orecchie e l’origine del, rumore, ho visto una vespa intrappolata in una ragnatela, in un angolo dove due assi si uniscono, a pochi centimetre da un varco nel vetro. E, attorno all’insetto in estrema agitazione, un ragno, velocissimo, lestissimo, a tessere e rafforzare la ragnatela, come se tutto dovesse risolversi in un attimo. L’aracnide era come in preda ad un’estasi mistica, di fronte ad un regalo enorme di qualche divinita’ degli aracnidi. La vespa o calabrone era grande almeno quattro volte il suo predatore, a riprova che, in natura, la dimensione non conta, ma contano gli strumenti, la tela, la forza del filo setoso emesso dalle ganasce del ragno e, forse, anche il veleno gia’ in circolo nella vespa. I ragni sono guerrilleri, si nascondono e si camuffano, in attesa del passaggio delle vittime. Non sono organizzati e militarizzati come altri insetti, sanno aspettare e conoscono benissimo le debolezze degli altri insetti. Le loro reti non sono mai messe a caso, ma sfruttano la fisica, il vento, i giochi di luci.
Improvvisamente, mi e’ passata la voglia di un caffe’, e per chi mi conosce sa quanto questo sia una situazione estrema. Mi si e’ gelato il sangue, che non capita spesso di assistere a questo spettacolo della vita e della morte, non accade sovente che si possa osservare la brutale legge della Natura, la vivida retorica del ‘mors tua vita mea’. Ho appoggiato il caffe’ e ho soppesato, con un’alienazione completamente professionale, come quella del poliziotto o del soldato di fronte ad un’azione di guerra, le diverse reazioni che potrei aver avuto: ignorare quello che stava accadendo, il ronzio e lo sbattimento di ali della vespa, o prendere una scopa e provare a liberare la vespa, che, magari, per quella forma di concatenazione di eventi, avrebbe ucciso il ragno e permesso all’altro insetto di pungermi, in un momento di euforia da celebrazione o di ricerca disperata e frenetica di una vendetta trasversale. O, forse, avrei ucciso tutti e due gli animali con la scopa, risolvendo il dolore lancinante e la sofferenza della vespa e liberandomi anche di uno dei tanti ragni che popolano casa – che, per un attimo, e’ sembrata la soluzione migliore. O, forse, colpendoli, avrei anche rotto un vetro, divelto una giuntura della veranda. Un bel dilemma, che ho provato a razionalizzare, a rendere opzionalita’. Come se la mia posizione fosse stata di controllo, come se essere in quel momento sulla porta della veranda non fosse una pura casualita’, ma un segno del destino. Arbitro e decision maker, salvare la vespa, il ragno, uccidere entrambi o, forse, ormai, lasciare che si compisse il volere di chissa’ quale volere divino. Ed in quell’istante ho deciso di lasciar correre, che tutto si svolgesse come se non ci fosse una razionalita’ in gioco, intesa come funzione risolutrice.
L’unica presenza, quella di un meccanismo riflesso indotto dall’istinto, una pura elaborazione di dati, di scenari ma senza elaborazione di una soluzione adeguata. Ho chiuso la porta della veranda ed ho continuato a bere il mio caffe’, con il ronzio della vespa intrappolata che man mano si affievoliva e diventata un rumore accettabile di fondo. Come accade, mi immagino, durante una guerra, con i bombardamenti e le notizie cattive che provengono da vicino, ma che ancora non ti toccano, od a cui devi farci un’abitudine. Come un’epidemia a 2000km di distanza. Come soprusi e violenze dall’altra parte dell’Adriatico neanche 15 anni fa ed oggi in tantissime parti del mondo. Sono tempi di ragni e di ragnatele globali, di accadimenti che vediamo passare sotto i nostri occhi e, spesso, troppo spesso, lasciamo che tutto accada senza alcuna forma di reazione che non sia quella del laisser faire. L’economia liberista che diventa un principio di governo ed intervento. Tranne quando le cose diventino personali, o quando l’impatto di una crisi locale diventi non tanto globale (che una crisi alimentare, militare o sanitaria che inglobi ed avviluppi piu’ di un paese e’ per definizione internazionale e tendenzialmente globale), ma un pericolo per diritti di estrazione, per i profitti ed i ritorni economici di una parte del mondo. Il ragno e la sua ragnatela sono un mondo ositle nel quale viviamo e del quale accettiamo I rituali, spesso senza opporre troppa resistenza. E’ il passante che non interviene quando qualcuno viene picchiato per strada, e’ lo spreco, il malaffare che ci accade attorno e di fronte al quale non facciamo niente, sono le cartacce per terra, le parolacce inutili, le giornate sprecate dietro alla burocrazia rispetto al fare, al costruire, all’intervenire. Nelle giornate, ci comportiamo come un consiglio di sicurezza, dove soppesiamo tutte le posizioni, tutte le questioni ma, alla fine, come sempre, lasciamo che siano natura, ferocia e violenza a decidere. Anche se spesso non siamo risk adverse or neutral, ma solamente pigri, rimane quella paura delle conseguenze di un intervento, del bene, del fare qualcosa per gli altri, di prendere posizione. Ed intanto, il ragno ha trascinato via la preda ormai intontita dal veleno, ed ora sta ritessendo la tela appena accarezzata dal sole del mattino. Magari sorride, l’infingardo, o forse ha sonno, e probabilmente sa che mi ha lasciato appeso ad una specie di filo, nella mia indecisione sulla cosa migliore da fare.
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“Oggi ho sognato la strada dove ci siamo incontrati l’ultima volta, od era forse un aeroporto, un luogo di partenza ed arrivo. Non ti ho quasi riconosciuto nella folla, od ho fatto finta per un attimo di non sapere chi tu fossi, mi sono nascosto dietro una colonna e mi sono lasciato sorprendere da come il mondo si riorganizzava attorno a te, a come gli altri interagivano con la tua presenza, nella tua eleganza minimalista. Ho atteso, teso la mia tela, e poi mi sono avvicinato e ti ho detto ‘Minerva, I presume’. Tu ti sei girata e mi hai detto ‘No, Cerere’. Come sempre, troppo tardi mi sono ricordato della tua fissazione con la mitologia greca. ‘Facciamo uno spritz, niente Ceres’, ti ho risposto, proprio per vedere le tue labbra sorridermi un “‘diota” di rimando”
K.J. Okker – ‘Vedi? Sono anche io un idiosintocratico’
Soundtrack
Ryan Adams – Trouble
www.youtube.com/watch?v=Iu4CxPKBTK8
Animal Brotherhood