È vero che lo spessore non si valuta dal numero di follower, ma su Twitter proprio non si direbbe che Vincenzo Trione è il neocuratore del Padiglione Italia. Anche perché al di là di qualche ringraziamento per la sua nomina e qualche battuta ai suoi detrattori, sulla Biennale di Venezia ancora no comment. Trione è più interessato all’uscita del suo libro “Effetto Città” che presenta a Roma stasera.
Dando un’occhiata alle recensioni ho scoperto la sua analisi di Pasolini, figura oggi in pieno revival mediatico tra mostre e riaperture d’indagini, ma a lungo snobbato dall’Italia, dalle istituzioni e da una successione di governi all’epoca in cui – un decennio fa – da Parigi venivo a Roma a studiarlo.
Trione sposa la tesi errata del Pasolini antimoderno e antiprogressista, una tesi datata che viene dalla politica e che dal punto di vista critico e artistico quindi, non può affatto essere considerata valida.
Da poeta a cavallo tra espressionismo neorealistico e agitazione sessantottina, Pasolini ha attraversato tutto con un distacco lungimirante, un distacco pensato, pianificato e teorizzato, e ancora oggi travisato, anzi deformato. Per non parlare dell’inaccettabile biopic di Abel Ferrara sull’omicidio di Pasolini.
È così che l’Italia intende consacrare tutti i mostri sacri del suo Novecento? Senza approfondire? Senza confrontarli con il contesto europeo, americano? Privando cioè la memoria italiana dei suoi irrepetibili primati culturali, seppur oggi facilmente dimostrabili?
È ora di valutare l’apporto storico, non solo estetico, di un Pasolini come di un Burri. Certo Pasolini disturba molto più di Burri, perché era omosessuale, comunista, perché è stato assassinato e c’entra il rapporto Stato-mafia, ma disturba soprattutto per le sue idee, che mettono a nudo il sistema (lo stesso di 60 anni fa) senza mezzi termini, senza fioriture.
Per Pasolini infatti la poesia era decodificatrice, non decorativa. Il suo era un linguaggio diretto, un po’ com’era la pittura astratta (e rigorosamente piatta) di Mondrian in confronto a tutto il figurativo.
A proposito, dov’è collocabile Pasolini nella storia dell’arte? È una domanda che il curatore del padiglione Italia non si pone nel suo libro, eppure pretende di poter esporre nel 2015 “l’identità italiana”, come lui stesso ha annunciato. Meglio che non lo faccia sbagliando su Pasolini.
Trione apre il suo libro con un cliché su Pasolini:l’amore (più tardi abiurato) di Pasolini per le borgate, per la vita violenta. Ma Trione non sa che, più che un amore, quella di Pasolini era una ricerca su tutto quanto di arcaico sussiste nella trasformazione culturale arrivata con il boom economico e il consumismo.
Caro Vincenzo Trione, Pasolini non è affatto un antimoderno ma un post-moderno. Tutto qui, come molti dei suoi contemporanei. E posso dimostrarlo.
Basta vedere Medea per capire che Pasolini era post-moderno: l’icona vivente Callas interagisce con i resti di una civiltà perduta (i Sassi di Matera) e non con una scenografia di cartongesso. La compresenza di antico e moderno nei film di Pasolini era reale prima di diventare la cifra stilistica (ma fittizia e artificiale) di tutti gli artisti dall’Arte Povera alla Transavanguardia.
Poi il post-moderno ha perfino raggiunto un culmine con il Kitsch fino ad arrivare oggi (e ormai soprattutto per comodità) all’indefinito, al tutto e niente alla rinfusa pur di ricavare accostamenti shock, e non a caso sono molti a lodare la mostra Shit & Die di Cattelan off Artissima di Torino.
Eppure è proprio dal post-moderno (e dalle sue derive) che la mia generazione e quelle nuove fanno fatica ad uscire: ma come si fa ad esprimere un desiderio di cambiamento oggi se non si sa chi è chi, se un artista può essere una cosa e il suo contrario, avanguardista e anacronista, pop e concettuale?
Nel ’68 hanno potuto ammazzarli i padri – pur non sapendo così di renderli immortali. Oggi i nostri di padri non si fanno riconoscere, sono patricidi latitanti che rinnegano ogni successione, e quindi il rinnovamento.
Come farà Vincenzo Trione l’anno prossimo a rappresentare nel padiglione Italia questa urgenza soffocata di cambiamento, se fa ancora fatica a riconoscerlo il post-moderno?
(Scritto da Raja El Fani)