Senza grandi sorprese, il Museo di Berna ha deciso di accettare la collezione lasciata in eredità da Cornelius Gurlitt, il figlio del mercante d’arte nazista. Una patata bollente alla quale però né la Germania né la Svizzera potevano rinunciare visto il valore inestimabile.
Ieri la lista impressionante delle opere nascoste da Gurlitt è stata messa online sul sito del Mibac tedesco. Ma dei 1500 reperti almeno un terzo è conteso da famiglie ebree e, per questioni di copyright, non figura nel database. C’è da scommettere cioè che molte opere, molto probabilmente quelle più importanti, non siano state pubblicate.
Nelle foto archiviate appaiono soprattutto disegni preparatori e a tempera di grandi artisti, di che comunque sconvolgere gli storici. Chissà se fra queste opere qualcosa potrà rimettere in discussione i nostri manuali di Storia dell’arte? Il compito spetterà alla Svizzera non appena sarà fatta la trasferta delle opere dalla Germania.
Però, quanto è ancora comoda la neutralità svizzera in questioni europee irrisolte. Se Gurlitt avesse lasciato tutto ad un museo tedesco, lo scandalo sarebbe stato totale. Il problema è: come evitare di perpetuare il fardello nazista, anche se in questo caso la passione per l’arte dei Gurlitt è stata fondamentale? Senza Gurlitt queste opere sarebbero state perse o distrutte. Quasi dovremmo ringraziarlo ma nessuno andrà fino a questo punto, è politicamente impossibile.
A Berna intanto non è sfuggito l’interesse di una tale responsabilità: con la collezione Gurlitt la Svizzera potrà porsi come prima potenza nel settore dell’arte contesa, che rappresenta una fetta importante seppur non dichiarata del mercato dell’arte.
Dall’altra parte, in un’Europa politicamente sempre più unita e unanime, la Svizzera – come tutte le altre nazioni del continente europeo – è spinta a stabilire la sua autonomia culturale.
Non a caso sono già iniziati i preparativi a Zurigo per il centenario del Dadaismo nel 2016, unico movimento d’avanguardia nato in Svizzera. Per il resto la Svizzera, paradossalmente piena di musei e fondazioni per ovvie ragioni storiche e fiscali, non può vantare altrettante scuole artistiche.
Grazie però al museo dell’Art Brut di Losanna, e ai rapporti del francese Dubuffet con la Svizzera, la Svizzera è molto attiva sul fronte della ricerca sull’Art Brut come una sua prerogativa nazionale. L’Art Brut come l’ha teorizzato Dubuffet, che raccoglie cioè ogni creazione impulsiva non ufficiale, precorre quelle operazioni istituzionali (compreso Google Art) che mirano a strutturare per esempio anche la Street Art. Un reparto anarchico che Stato e privati cercano oggi di collocare nel bilancio del settore culturale.
Insomma stanno diventando sempre più decisive, per i bilanci, le varie appartenenze culturali dell’arte europea. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, la Svizzera non è il centro smistamento dell’arte europea: anche la Svizzera deve farsi avanti con un’identità e una storia legate al proprio territorio.
La mediazione svizzera nel caso Gurlitt dovrebbe dunque essere l’ultima scossa d’assestamento delle divisioni europee del novecento. Sul fronte culturale, la Svizzera non può più mantenersi neutra né accontentarsi di agglomerare l’arte europea. Le serve legittimare al più presto un’arte svizzera o sarà condannata a restare, come nel caso Gurlitt, la succursale di Bruxelles.
(scritto da Raja El Fani)