Qualcuno salvi Orfini da Football Manager

Leggo ora sul Post una cosa che mi fa molto preoccupare. Matteo Orfini ha un problema di dipendenza con Football Manager, un gioco manageriale di calcio che lo sta mandando ai pazzi. Gli sono vicin...

Leggo ora sul Post una cosa che mi fa molto preoccupare. Matteo Orfini ha un problema di dipendenza con Football Manager, un gioco manageriale di calcio che lo sta mandando ai pazzi. Gli sono vicino. Ci sono passato anch’io e ho pensato che magari la mia storia può aiutarlo — un po’ come capita all’Anonima Alcolisti.

Ero in quarta liceo, era il 2000. Sul mio computer fisso, acceso 12 ore al giorno nella mia cameretta da teenager, girava continuamente un gioco: Championship Manager. Era diventata una droga, aspettavo di tornare a casa per giocarci, ci facevo i compiti davanti (facevo finta di farci i compiti davanti), alzando la testa ogni 30 secondi per seguire le partite minuto per minuto (non c’era ancora la visione dall’alto, ma era una droga comunque).

Giocavo con il Leyton Orient, una squadra inglese che all’epoca era in terza divisione. Ogni sera salvavo e aspettavo il pomeriggio dopo per caricare la partita e continuare a giocare. Passarono cinque o sei mesi, a scuola andavo abbastanza male, ma il mio Leyton Orient era in Premier League, e io, allenatore dell’anno, ero arrivato ad avere una squadra di giovani talenti, e mi giocavo la semifinale di Coppa Uefa.

Poi, una sera, arrivato al quotidiano salvataggio prima di uscire con gli amici, mi cascarono gli occhi su un punto che non avevo mai notato della schermata di salvataggio: il tempo effettivo di gioco, ovvero i giorni, le ore e i minuti che avevo passato in quei mesi davanti a quel simulatore manageriale di calcio.

Non ricordo il tempo preciso, ma si aggirava sulle tre settimane. Tre. Settimane. 21 giorni, qualche ora e qualche minuto passati davanti a uno schermo a vedere i risultati delle mie scelte ricalcolati e resi graficamente da un grande algoritmo che simulava l’intero mondo del calcio. Tradotto: il nulla. 

Pensai che quelle tre settimane non me le avrebbe date indietro nessuno. Che erano perse, andate, investite per diventare per finta il miglior allenatore del mondo. Da solo. Nella mia cameretta da teenager. In silenzio. 

Terminai la procedura di salvataggio e, una volta espulso il CD, lo presi con due mani, lo guardai qualche secondo e lo spezzai in due. 

Non so se a Matteo Orfini leggerà questa storiella da teenager. Però da cittadino italiano spererei che quel grido di aiuto, lanciato oggi su twitter, venisse preso sul serio. Perché Orfini non ha 18 anni e non è al liceo. È un deputato della Repubblica Italiana. È il presidente del primo partito in Italia, il Partito Democratico. 

Matteo, se mi stai leggendo — perdonami, non ci conosciamo ma ti do del tu come si danno del tu gli Alcoolisti Anonimi — ascoltami: lascia l’Avellino dove l’hai trovato. Disinstalla Football Manager, perché è chiaro che ti è scappata la mano. Sei il presidente del Pd, diamine, stai già gestendo qualcosa di abbastanza grosso e abbastanza decisivo per la tua e la nostra vita: giocala lì l’Europa League. 

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