Dopo il burrascoso fine settimana con nuove implicazioni rivelate dall’inchiesta Mafia Capitale, mi aspettavo di vedere accostate mafia e cultura su almeno un paio di homepage o copertine.
Ma nessuna testata culturale ha osato titolare sui legami che compromettono il Mibact e il museo Maxxi: niente su Exibart, niente su Artribune e niente sul Giornale dell’Arte che si contendono il primato del giornalismo culturale in Italia. Anche lì regna l’omertà.
Eppure almeno una considerazione s’impone: quella della rappresentatività, un principio costituzionale che obbliga alle dimissioni qualunque dirigente qualora compromettesse – anche indirettamente – l’immagine istituzionale.
Ma nonostante i suoi legami con Stefano Bravo, la Melandri si è accontentata di revocarlo indignandosi in nome della sua fondazione. Senza mai cioè mettere sul piatto le ripercussioni sul Maxxi. Un furbo escamotage che però non cambia i fatti.
Le testate culturali hanno il dovere se non altro di legittimare il dibattito sulle conseguenze del legame della Melandri con Bravo, e di valutare se in quanto Presidente del Maxxi, un museo nazionale, la Melandri non danneggia l’immagine internazionale dell’arte italiana.
Per il resto, non serve aspettare la giustizia per accorgersi che le preferenze artistiche del governo non si appoggiano certo su valutazioni storiche.