In un film di Wenders, Il sale della terra, Salgado, il grande fotografo brasiliano, racconta della maniera in cui la zona del Brasile da cui viene, Minas, si e’ desertificata, a causa della deforestazione per creare pascoli. Indugia a mostrare i sentieri lasciati dagli animali sulle colline, dove il loro camminare e pestare la fragile erba della foresta aveva accentuato il problema. La dannazione di quella parte del Brasile, come di tante terre simili, e’ stata l’idea che dovesse esistere un risultato da ottenere, velocemente, a prescindere dai tempi e dalle condizioni della natura locale. Questa cosa accade ogni giorno, laddove coltivazioni intensive, monocultura, distruggono la diversita’ animale e vegetale. L’uomo genera il deserto, e, da quello, nascono la fame, la disperazione e, alla fine, la rabbia, la guerra, la migrazione, quegli scenari che lo stesso Salgado aveva raccontato con le sue fotografie, i suoi reportage dai mille inferni del mondo, dal Burundi, al Kuwait dei pozzi petroliferi incendiati da Saddam.
https://www.youtube.com/watch?v=nHJWgQxTous
https://www.youtube.com/watch?v=V9z-p-Tutec
Quando il suo cuore era troppo avvelenato da tutto l’orrore che aveva visto, Salgado, con la moglie, torno’ in Brasile e cominciarono a piantare alberi attorno alla loro fazenda, quasi un milione di piante, e quel gesto apparentemente folle, nel giro di dieci anni, ha ricreato le condizioni originarie della foresta, della macchia del Nordeste. Ed ora tutti quelli che entrano in questa riserva naturale stupenda sanno che devono seguire solo certi sentieri, per rispettare quella natura ferita che prova a rimarginarsi.
Salgado sa che il percorso, la costanza con la quale si percorre una strada, sono la base, spesso della sopravvivenza. Il passo dopo passo. Nello stesso documentario, racconta, con le sue foto devastanti di morte, guerra, fame, che per il viaggio bisogna essere equipaggiati, che sia quello del giornalista o che sia quello del transfugo, dell’esule. Il mondo e’ una rete intricatissima di milioni di percorsi, di sentieri, di pellegrinaggi verso salvezze piu’ o meno eterne, o verso pascoli e territori fertili. Quello che conta e’ il passaggio, dove il presente e’ una tappa, un’ennesima serie di passi e metri verso l’altrove. E sono le condizioni, le premesse del viaggio, a determinare cosa accadra’ alla fine. La ricerca di felicita’, giustizia, pace, ma, prima di tutto, di rispetto.
Lo racconta benissimo quello che considero il film dell’anno, ‘The most violent year’, dove Oscar Isaac interpreta un imprenditore newyorkese, di non precisate origini spagnole o portoricane, che distribuisce carburante e combustibile per il riscaldamento. Il film racconta l’avventura umana di questa persona che, nell’anno piu’ violento della storia di New York, il 1981, cerca di entrare in un mercato dominato da cartelli, mafie e controllato in maniera capillare da autorita’ giudiziarie invadenti. Il personaggio di Isaac non vuole entrare nel Sistema ed assimilarsi, ma cambiarlo, vendendo ai clienti il miglior prodotto e servizio possibili. Per chi si interessa di marketing e di politica, il film e’ un corso veloce e sincero su come offrire un servizio alla collettivita’.
Il personaggio di Isaac vuole vincere competendo sulla qualita’ e la competenza e non usando i trucchi dei suoi competitori, con le loro posizioni dominanti costruite su violenza, pestaggi, intimidazioni. E vuole rispettare la legge, quella penale e quella fiscale. Non esistono scorciatoie nel percorso, sembra voglia dire il film. Ed alla fine il protagonista lo ammette, ad un magistrato impressionato dalla sua onesta’, in un mondo ostile, corrotto e violento.
‘Non mi interessa il risultato’, dice, ‘ma come ci arrivo, mi interessa scegliere il percorso del giusto, di quello corretto e non quello che poi non mi faccia sentire a mio agio’. Un concetto rivoluzionario, l’idea che per costruire qualcosa si debbano seguire regole, che si debba costruire senza imporre agli altri una velocita’ ed una esuberanza del cambiamento a tutti i costi. Una rivoluzione vera, in questo mondo dominato dal risultato, dal profitto netto e dalla velocita’ a rotta di collo con la quale si deve sempre arrivare da qualche parte. Il personaggio di Isaac ammalia perche’ calpesta con attenzione la realta’, come le mucche di Salgado, cerca un viatico al successo che sia innanzitutto una costruzione, un’edificazione che sia edificante e non resa instabile dalla mancanza di regole, dalla furbizia, dalla demagogia, ma dove l’onesta’ e la correttezza siano premiate. Quando, nel film, il protagonista cerca qualche soluzione non convenzionale, o illegale, e’ una reazione ultima, da legittima difesa, rispetto ai due sistemi, quello del mob del New Jersey e quello della giustizia che non e’ giusta ma che deve trovare colpevoli, capri espiatori.
https://www.youtube.com/watch?v=o87gG7ZlEAg
A volte, nei corridoi astrusi del karma personale e collettivo, certe storie, certe narrative, accadono, vengono pensate e rese film documentario, libro, articolo, fotografia, perche’ e’ giusto, perche’ corrispondono ad una domanda attuale che impregna e che sottende la realta’. E quella domanda, di giustizia, di reimparare un percorso virtuoso, di fatica, ma anche di bellezza e di progresso, di rispetto degli altri e di quello che ci e’ stato dato, aleggia, nella molteplicita’ dei mondi in cui viviamo e che attraversiamo ogni giorno. Costruire senza furia, ma con coscienza di fare la cosa giusta, sostenibile, corretta, ricostruire le condizioni che permettano ad altri di godere del risultato, il senso del sacrificio e della fatica, l’analisi delle conseguenze prima ancor di quella dei profitti immediati. Il tantra della scoperta del se contro la sveltina della soddisfazione temporanea. Non svelo la fine del film, ma quell che rimane e’ un senso di ammirazione e di inebriamento per la condizione umana, quando, di fronte ad ogni sfida, non scende a compromessi con la propria cifra morale, con quello che reputa giusto. Perche’ non esiste compromesso che non sia un tradimento, non esiste una soluzione bipartisan che non sia uno svilimento della promessa fatta, prima di tutto a se stessi, di voler migliorare le cose.
La schiavitu’ dal risultato, dalla velocita’, dal far muovere tutto attorno velocemente, per non far rendere conto a nessuno che niente e’ completo, niente e’ terminato, chiuso, chiavi in mano, ma tutto rimane sospeso, immobilizzato dalle inefficienze che la furia bandolera impone. Come una quinta, come un teatro. Allora, nelle mie giornate, sto provando ogni giorno a riconquistare questa strada da seguire, il percorso del giusto, del possibile, dentro la fatica e l’abnegazione. Perche’ quello che sara’ il miglior risultato e’ non sentirmi tradito da me stesso, dai sogni di gioventu’ di un mondo dove si compete, si lotta, ma, prima di tutto, non ci si vergogna di guardarsi allo specchio, non ci si sente parte di un’ennesima truffa, di una generazione di delusi/collusi, ma ci si sente piccolo, insulsi, visionari creatori di un domani possibile. Come la foresta di Salgado, come il percorso dei giusti di Oscar Isaac.
Questa, la rivoluzione vera. Una primavera dello spirito. Ed uno spritz.
“I don’t want to be the first to lie to myself, I don’t want to feel I have been living a social network utopia. I have expected the opportunity to start a revolution for many years. Now, as I sit in the dusk of electrolights, I see clearly. I was very close to destroy what I believe is my inner secret, this uncompromising soul made of glass and desire of good. Therefore, I found shelter, I found a corner where to sit and allow the long march of useless tactics disappear, into the mist, into the fog. I will never lie to myself. Hence, my fredoom. Hence, my silent disappointment turning into the most anarchist action ever, respect otherness and honour this accidental woe I call my political life. From today, I will be the constructive antagonist”
KJ Okker – De Bello Frantico
Teatro degli Orrori – La vita e’ breve
https://www.youtube.com/watch?v=IhO5yv3ShIU
REM – Leaving NY