Giovine Europa nowMondo Hebdo. Exploits, censure e tabù democratici nelle colonie europee.

Oggi ringraziamo Eleonora Spina, antropologa (vedi biografia a fine articolo), per un contributo sui fatti di Parigi della settimana scorsa.   Tra tanti associarsi, dissociarsi, smarcarsi e identif...

Oggi ringraziamo Eleonora Spina, antropologa (vedi biografia a fine articolo), per un contributo sui fatti di Parigi della settimana scorsa.

Tra tanti associarsi, dissociarsi, smarcarsi e identificarsi, in questa mobilitazione generale, confusa e un po’ berciata, che – la Storia insegna – troppo spesso precede il compattamento delle file, ordinatamente schierate e serrate in assetto bellico, si consenta anche a me di fare dei distinguo non richiesti, ma che sento di dovere alla mia (nostra?) coscienza di Italiana, Europea e Occidentale. Mi si dirà che non è l’ora dei distinguo. Io rispondo: è esattamente questa l’ora dei distinguo, perché le semplificazioni e le riduzioni, proprio in momenti come questi, infiammati dall’emozione di una tragedia recente, diventano a loro volta materiali altamente infiammabili. Ecco allora quello che oggi, mentre in milioni sfilano per le strade di Parigi, innalzando sulla folla i cartelli “Je suis Charlie”che ci faranno sentire tutti solidali e compattamente uniti contro un nemico comune, voglio dire pubblicamente e a tutti quelli che avranno voglia di ascoltare. Io credo fermamente che questo sia il momento di prendere posizione, ma una posizione critica, autocritica e riflettuta. Credo altrettanto fermamente che non sia il momento di facili schieramenti, che sono sempre colpevolmente schematici e costano troppe rimozioni per poter essere onesti. Io rifiuto ogni rassicurante riduzione del terrore al progetto delirante e irrazionale di un certo Islam fondamentalista che inaspettatamente ha fatto irruzione da chissà dove nella democratica e tollerante Europa, come un sasso lanciato nelle acque calme di uno stagno. Non – solo – da questo terrore mi sento disgustata e minacciata, ma dal terrore in tutte le sue forme, compresi il terrore di Stato a cui la civilissima Europa e il civilissimo Occidente hanno fatto ricorso tutte le volte che è servito loro, in tempi remoti, recenti e attuali, in angoli di mondo forse meno mediaticamente esposti rispetto alla capitale francese. Io voglio sforzarmi di ricordare, proprio in questo giorno doloroso di lutto, tutti i lutti di cui l’Occidente ha direttamente e indirettamente costellato il Mondo al di fuori dei suoi angusti confini. Dai Colonialismi vecchi e nuovi, alle guerre sporche che continua a foraggiare, sostenere e fomentare ovunque, fino alle leggi inique con cui pattuglia le sue frontiere: davvero abbiamo idea o ci ricordiamo quanto è costato e quanto costa tutt’oggi in termine di vite umane, di soprusi, di violenza arbitraria costruire e mantenere la torre d’avorio del nostro privilegiato, democratico, pacifico Occidente?

La Storia ce lo insegna, se solo la conoscessimo meglio o avessimo voglia di farne memoria più spesso, ma ce lo insegnano anche coloro che Occidentali non hanno il privilegio di esserlo e per cui l’Occidente, con buona pace di chi ha deciso di insignire l’Europa e Obama del premio Nobel, non è certo sinonimo di libertà, uguaglianza e fraternità. Questi ultimi, e la loro sorella democrazia, sono dunque ideali che tutt’al più possiamo auspicare di riscoprire e dissotterrare, non certo bandiere da innalzare a vessillo di un’Europa e un Occidente che spesso hanno nascosto dietro parole altisonanti una morale doppia e colpevole. Io stessa, Italiana figlia di genitori Italiani, europea da innumerevoli generazioni, non mi sento trattata oggi conformemente a questi nobilissimi principi, perché democrazia senza giustizia sociale è solo un proclama, una parola vuota. E di giustizia sociale, oggi, non se ne vede molta da queste parti. Io faccio appello al pensiero critico come “arte di non essere eccessivamente governati”, chiedo, anzi, reclamo che le forze politiche non lancino facili slogan, che non inventino parole d’ordine pret a porter e facilmente strumentalizzabili, così come domando a tutti e a ciascuno di non farli propri, di coltivare la coscienza storica e di far di nuovo posto alla complessità. Nessuna comoda opposizione manichea Noi/Loro ci salverà da questa china della Storia in cui stiamo scivolando, perché coloro che ieri hanno ferito così gravemente Parigi non sono alieni, come ci piacerebbe credere, non sono estranei, come ci consolerebbe pensare, sono uomini e donne cresciuti nella nostra libera e tollerante Europa. Non sono dei “Loro”, sono dei “Noi”. E allora non si può che concludere che l’Europa ha fallito: nella migliore delle ipotesi perché non è riuscita a seminare in questi Europei recenti – ma nemmeno troppo – i germi belli dei suoi valori democratici; nel peggiore – e io sono portata a credere che sia questo il caso – perché questi valori sono molto più spesso proclamati che agiti e hanno così il gusto non solo poco seducente, ma addirittura intollerabile dell’ipocrisia. Io denuncio non solo la violenza fisica, che certo fa più clamore – ma in certe zone del Mondo più che in altre, visto che le vittime nigeriane di Boko Haram fanno, come era prevedibile, meno soffrire e meno indignare -, ma anche la violenza strutturale, che con le sue sperequazioni, la sua ingiustizia sociale, i suoi meccanismi di produzione di marginalità e devianza, l’iniqua distribuzione della ricchezza, del potere e delle opportunità, continua a fare silenziosamente e indisturbatamente vittime ed ad alimentare pericolosamente rancore e desiderio di rivalsa. Sono addolorata per quanto accaduto agli uomini della redazione di Charlie Hebdo, ma no, nemmeno io sono Charlie, se essere Charlie diventa il comodo vessillo per compattarci tutti dietro lo scudo di parole come “libertà di espressione”, “democrazia”, “dialogo”, tanto meravigliose quanto logore, di cui noi stessi abbiamo fatto stracci, e che, mentre marciamo con le matite in mano, sbandierandole come feticci, senza che ci accorgiamo vengono ancora una volta e sempre più irrimediabilmente svuotate, usurate, ridotte a sinistri proclami, latori di guerra. Quello che ci può salvare dalla china è, invece, cogliere questa occasione luttuosa per fare una sincera e difficile autocritica, ripensando ai valori da cui ci sentiamo rappresentati, avendo il coraggio di non darli per assodati e conquistati una volta per sempre, ma ammettendo che c’è ancora molto da fare per renderli attuali e mettendosi di buona lena a riempirli di pratiche.

Eleonora Spina: 1985; Antropologa e mediatrice culturale presso Pacefuturo Onlus, in seguito alla Laurea Magistrale ed un master di formazione in mediazione etnoclinica, ha condotto nell’ambito dell’antropologia medica, ricerche etnografiche sul sistema sanitario formale ed informale nel distretto di Nairobi, Sololo – Kenya (2012) e sui rapporti tra religione, cura e medicina tradizionale in relazione alle memorie traumatiche nei contesti post-bellici al Centre For Social Transformation dell’Università di Makeni (UNIMAK) in Sierra Leone. Come ricercatrice nella applicazione della Mc Gill Illness Narrative Interview (MINI) a pazienti affetti da HIV e TBC, nel contesto dell’ASPIC Onlus (Associazione Studio Paziente Immunocompromesso) dell’ Ambulatorio Mi.Sa. (Migrazioni e Salute) – Ospedale Amedeo di Savoia – conduce la sua attività in Italia come Segretario dell’Associazione di Promozione sociale Ramodoro (Antropologia Pratica per il Sociale); http://apsramodoro.blogspot.it/p/ramodoro.html

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