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Gentile Michela Murgia,
scusami se arrivo solo adesso, con un giorno di ritardo, sulla questione in cui, pur non nominandomi, mi hai coinvolto ieri. Riepilogo la vicenda velocemente, per chi non sa di cosa stiamo parlando.
Nel pomeriggio di martedì ci siamo ritrovati, io, tu e un’altra ventina di persone che si occupano di cultura su web. C’erano blogger, giornalisti, scrittori e lavoratori di Einaudi. In diretta via skype dalla Florida c’era Jeff VanderMeer, autore di Annientamento, primo romanzo di una serie di tre che, da quanto mi sembra di capire, entrambi abbiamo apprezzato moltissimo (io ne ho parlato qui, btw).
C’è stato un giro di domande che in molti di noi hanno posto all’autore. Quando è toccato a me ne ho poste tre. La prima era quella per cui tu mi hai accusato di sessismo e maschilismo. Non ricordo le parole esatte con cui mi sono espresso, quindi ricopio quelle che hai citato tu nel tuo post su Facebook:
«Le protagoniste del suo romanzo sono tutte donne. Come si è trovato lei, da maschio, a immaginare solo personaggi femminili, cioè a immedesimarsi nella loro mentalità? C’è un’unica voce maschile nel libro, quella del marito della biologa, e infatti mi pare che sia più chiara, con ragionamenti lucidi e molto precisa, mentre il personaggio femminile principale è più…non so… nebuloso».
Con tono un po’ canzonatorio fai notare, qualche riga dopo, come ti sembri assurdo che per me, in un romanzo di fantascienza, «l’atto di fantasia senza spiegazione è che l’autore sia riuscito a immedesimarsi in uno o più personaggi femminili, in questo Unidentified Human Object che si chiama donna».
Ora, non ho intenzione di difendermi dalle tue accuse di maschilismo e sessismo. Sono categorie che mi appartengono talmente poco che mi fa sorridere il fatto che tu le abbia applicate a me.
Difendo però la pertinenza della mia domanda, perché sono convinto che gli uomini e le donne non siano uguali, che differenze ce ne siano e non capisco come si possa sostenere il contrario. Abbiamo sensibilità diverse sulla realtà, punti di vista diversi, attenzioni diverse a cose diverse, e anche, di sicuro, psicologie diverse. Mi sembra estremamente naturale tutto ciò, e mi hanno insegnato che non ci sono giudizi di valore nella diversità, anzi.
Sottigliezze, sfumature, divergenze, grandi o piccole poco importa, sono ricchezze, e quando si parla di un romanzo ad alto contenuto psicologico come quello di VanderMeer possono influire sulle scelte di chi scrive. E proprio questa era la mia domanda all’autore. Se evidenziare queste differenze è sintomo di sessismo, be’, allora forse il dibattito sull’identità di genere e sulla discriminazione femminile — che esiste, ed è purtroppo un problema molto serio e radicato in questo paese e non solo — ci è sfuggito un po’ di mano.
Chioso e concludo: ti seguo da quando hai scritto Il mondo deve sapere, e ti reputo una persona molto intelligente e capace. Ti confesso che ieri ci sono rimasto male. E non solo per le accuse di sessismo e di maschilismo che mi hai tirato e che mi feriscono molto più di quanto tu creda, ma soprattutto perché, quando ho fatto quella domanda, tu eri seduta a un metro da me. E prima di correre a scrivere quel post secco e sprezzante, non hai trovato il tempo di dirmi che ti aveva dato fastidio quella domanda. Hai preferito la polemica al confronto, hai preferito internet alla realtà, hai preferito parlare a una platea che, tra Facebook e Twitter conta circa 85mila persone, piuttosto che parlare con una sola persona, l’unica che accusavi — il sottoscritto — che hai neppure menzionato nei tuoi post sui social. Ed è un peccato, perché sono sicuro che avresti capito, parlandomi, che non sono la persona che pensavi che fossi.
Ti auguro una buona serata, a presto