Ho sempre avuto un bruttissimo rapporto con i numeri. Tanto semplici e logici quanto ingarbugliati e pieni di regole che ne cambiano la semplicità. Date, soldi, conti, misure, lunghezze mi tediano. Potrei sbagliare, perdermi e innervosirvi. Tuttavia dei numeri ne subisco il fascino. Prendiamo la sezione aurea: questa proporzione è frequentissima in natura tanto da rappresentare un ideale di bellezza ed armonia. Giamblico, filosofo greco in età romana, sosteneva che Ipasso di Metaponto avesse avuto la capacità di rendere la sezione aurea incommesurabile. Dunque, per intenderci, un greco nel cuore della Magna Grecia aveva innalzato al più alto grado di definizione tale rapporto matematica di armonia ed io, nato ad un soffio da Metaponto, avevo difficoltà ad affrontare analiticamente i numeri.
L’avversione totale, comunque, venne a sancirsi una Pasqua di molti anni fa. Frequentavo, forse, la seconda elementare e di imparare la tabellina del tre non vi era verso. Ore ed ore tra fanciullesche imprecazioni e pianti fintanto che mia madre, con tutta la calma di questo mondo, decise di offrirmi una pausa: “Andiamo alla Via Crucis. Ti fai la processione con me e poi riprendiamo a studiare”. Tornati a casa, dopo la funzione lenta e melodrammatica, la tabellina del tre non era più qualcosa di ostico ma tre ,sei ,nove , dodici, quindici, diciotto e così via. L’indomani, interrogato, non ricordavo più nulla. Così è. Il numero è tragedia e questa, inventata in Grecia, a sua volta si basa su tre elementi: amore, dolore e morte. Il numero perfetto nelle imperfezioni di noi mortali.
Di amore, dolore e morte – perfettamente concatenati tra loro – gli uomini vivono e per eguali ragioni combattono. E tre anime in un corpo solo, quando sei greco di nascita e cuore, possono susseguirsi se ti chiami Alessandro. Alekos per chi ti vuol bene. Alekos ha amato la libertà, per questa ha sofferto e per essa è morto. La tragedia degli eroi, già presente in Omero e nei personaggi degli autori successivi, si incarna materialmente e storicamente in un greco. Il destino è schernitore e se la ride dei poeti.
Il 13 Agosto 1968 Alekos Panagulis colloca delle bombe sotto un ponticello per attentare alla vita di Geōrgios Papadopulos, il capo della dittatura militare greca. L’attentato fallisce e Panagulis viene catturato. Quel che accadde dopo lo racconta minuziosamente con amore e compassione la donna che lo amò. Resistette sino alla caduta del regime militare e la libertà era giunta al suo più alto compimento. Non certo la libertà fisica ma la libertà di restare un uomo, fedele a se stesso ed al proprio amore, puranco sotto le più atroci nefandezze che l’uomo può compiere verso un altro uomo.
Panagulis morì la notte del 1 Maggio 1976 in uno straordinario quanto dubbio incidente stradale. Pare che fosse arrivato a scoprire alcuni documenti che inchiodavano i poteri della nuova Grecia democratica come conniventi con il passato di regime. Avrebbe parlato in Parlamento qualche giorno dopo ma la sua auto si fermò poco prima.
Laddove io ho temuto il tre, un Uomo è rinato. Tre metri per tre era la cella nella quale fu rinchiuso. Tre per tre è nove ma in gabbia l’uomo si divide per se stesso e la tragedia divisa per la tragedia è sempre uno. Nella solitudine di anni silenziosi e disperati un solo uomo può impazzire ma Alekos è rimasto lucido. Una delle tante libertà che ha conquistato è stata quella di resistere financo alla sua stessa mente che scalpitava per fuggire lontano da quell’inferno nella pazzia.
L’amore, seppur doloroso e destinato alla morte, resta l’eterno potere. Se cade è solo per risorgere e diventare qualcosa in più da noi. Dovremmo ricordarcelo ogni tanto, indipendentemente dai numeri contro.
Un fiammifero come penna
sangue colato sul pavimento come inchiostro
l’involucro dimenticato di una benda come pagina bianca
Ma cosa scrivo?
Forse ho solo tempo per il mio Indirizzo
Strano, l’inchiostro si è rappreso
Vi scrivo da un carcere
in Grecia