Diecimila elettori umbri. E’ lo scarto che ha permesso a Catiuscia Marini di scavalcare stanotte Claudio Ricci. E’ lo scarto che oggi ha permesso a Matteo Renzi di tirare un sospiro di sollievo. Perché, per quanto siano elezioni molto difficili da decifrare dove ognuno può tirare l’acqua al suo mulino (e in effetti è quello che sta succedendo) il cinque a due permette al Partito Democratico di tirare dritto e vantare la sua parte di vittoria stamattina, nonostante le difficoltà che sono emerse.
Chissà come sarebbero andate le cose se quei diecimila umbri fossero rimasti a casa. Chissà di cosa scriverebbero i giornali oggi, di un pacifico sindaco clericale che somiglia a Yoda e che sale a governare l’ex (?) cuore rosso del Paese. Di un governo che cede in una roccaforte storica e di tante altre considerazioni che si potrebbero fare, come se l’elettore votasse per la regione pensando al Job Act o alla riforma della scuola. La politica, la narrazione, la propaganda dei prossimi mesi, il destino delle riforme nelle mani di diecimila umbri; il futuro di un Paese che si decide su una piccola cittadina fra le colline di San Francesco. Come qualche anno fa, quando il futuro del mondo si decise in sperdute contee della Florida o dell’Ohio.
L’esito di queste regionali è difficile da decifrare. Gli elementi in gioco sono tanti. Ma credo che si vadano affermando certi concetti della politica contemporanea: la scomparsa dei partiti, la morte delle ideologie, il voto fluido di una società che sceglie chi votare e se votare volta per volta, l’importanza quasi fondamentale dei candidati. Un nome e un cognome contano più dei simboli o dei ministri che corrono a sostenerti. Nei voti disgiunti, si possono osservare miracoli come voti al presidente di estrema sinistra e le preferenze al candidato consigliere dell’estrema destra.
Sull’analisi delle regionali, come di ogni voto amministrativo, si dovrebbe dare più importanza anche alle dinamiche locali. Si è votato in sette regioni diverse e in ogni regione ci sono elementi del posto che hanno influito. Il peso di personalità come Vincenzo De Luca o Michele Emiliano e l’esempio delle città da loro amministrate: in particolar modo la Salerno di De Luca, che nella Campania dell’emergenza rifiuti toccava nella differenziata percentuali da Nord Europa. La debolezza, dall’altro lato, di Raffaella Paita e Alessandra Moretti. La prima è stata assessore alla protezione civile in una regione flagellata più volte dalle alluvioni. Può non aver pesato tutto ciò, anche forse di più delle divisioni interne e del masochismo della sinistra? E’ lo stesso discorso vale per l’Umbria, dove il centrosinistra da anni è in crisi profonda e avrebbe bisogno di un rinnovamento radicale. Se l’Umbria non è stata la Liguria è forse solo perché non ci sono state alluvioni o emergenze da gestire. E non dimentichiamoci il ruolo delle preferenze, i candidati consiglieri che spostano e portano i loro pacchetti di voti: molti elettori si limitano a scrivere il cognome del consigliere, ma quelli sono sempre voti che poi pesano nel gioco complessivo.
In molti hanno lanciato l’allarme sulla bassa affluenza e in molti, a cominciare da Civati, sognano di intercettare i voti degli astenuti. Ma l’astenuto non è necessariamente un elettore a disagio. Spesso è anche un elettore indifferente, qualunquista, al quale non importa nulla della sua regione o della politica. In democrazia conta chi partecipa, non chi diserta le urne. Il parere di chi non va a votare alla fine è utile solo nelle polemiche. Le sorti di queste elezioni non le hanno decise i milioni che sono andati al mare; le hanno decise diecimila elettori umbri.