Il 21 giugno, nelle pagine culturali di Repubblica, c’era un trafiletto a firma del — cito wikipedia — “poeta, filosofo, scrittore, giornalista e drammaturgo italiano” Guido Ceronetti dal titolo Samantha, lo spazio e il signor Freud, in cui il poeta distrugge l’asticella della decenza e, a colpi di supercazzole e sessismo, dichiara di provare “molta pena” per l’astronauta italiana appena tornata dallo Spazio. Ma vediamo nel dettaglio. C’è da non crederci.
Inizia Ceronetti:
Che senso ha il viaggio e il lungo soggiorno nello spazio di Samantha Cristoforetti? Domandiamoci perché l’abbia voluto affrontare: forse per provare a se stessa e al mondo il proprio sprezzo del pericolo e in specie la sua vittoria, che a me appare per l’eccesso di paura che mi ispira, sulla claustrofobia?
Ma si è solo scaldato, perché avanza indomito e senza paura:
L’allenamento astronautico da Marine, l’arsenale sedativo e nutritivo chimico dell’equipaggio, sono sufficienti a persuadere che non avere la terra sotto i piedi è bello?
E mica ha finito. No, no. E ora inizia il bello:
Di fisiologia ginecologica la sfidante intrepida non avrà certamente avuto più nessuna traccia, fin, credo dalla base, come in un evento patologico
L’approdo verso vette inesplorate di delirio è avvenuto, ma lui mica si ferma:
Non so, ma quella ragazza sorridente, ormai obbligata a vita alla stranezza del suo record femminile di vacanza extragravitazionale, mi fa molta pena.
Pena? Ragazza sorridente? Stranezza del suo record femminile? VACANZA EXTRAGRAVITAZIONALE?????? «Poeta Ceronetti, mi scusi, ma che diavolo sta blaterando?», penso tra me, ma mi basta andare avanti un paio di righe per capire che il delirio del vecchio poeta invidioso è pure condito di autopromozione:
Per un’analisi freudiana si potrà interpretare una donna fluttuante fuori gravità come desiderio soddisfatto di un rapporto incestuoso col padre, senza nozze tragiche, senza esplicazione, irrorazione e amorosa redenzione scenica. Qualcosa di molto simile alla violenza a cui soggiace e a cui consente, nel romanzo Adelphi di cui sono autore “In un amore felice” la protagonista dalla doppia vita Ada dove il Padre esoterico e simbolico evocato emana il proprio sé dagli Elohim, remote vestigia veterotestamentarie.
Gioco. Partita. Incontro. Finito? No, perché il Poeta gioca per la Carriera e per l’Eternità:
Le imprese spaziali non sono portatrici di luce: chiamarle scientifiche è estenderle oltre le mura umane, e sgomenta la veemenza del loro urto con l’ambiente, che dura dai primi Sputnik e Apolli in cui sempre più incollati gli uni agli altri tentiamo di sopravvivere ai maleodoranti purgatori politici. La Civitas Dei non è più una speranza, la città umana si va trasformando sempre più in un mostro. La nave spaziale è inabitabile, le fughe sui pianeti impossibili. Dateci sogni, sogni, sogni…
E Ceronetti ti lascia lì, allibito, con quel reiterare di “sogni, sogni, sogni”, che in realtà è una richiesta d’aiuto.