La City dei TartariSettembre, aspetta!

Un anno gia' passato, sembrava ieri settembre in un fine settimana occasionale sulle colline fiorentine.  La vista dal vigneto che si apriva su una valle di cui non conoscero' mai il nome, ma di cu...

Un anno gia’ passato, sembrava ieri settembre in un fine settimana occasionale sulle colline fiorentine.  La vista dal vigneto che si apriva su una valle di cui non conoscero’ mai il nome, ma di cui ne intuivo la topografia, di grandi produttori, case padronali e ex baracche dei lavoranti trasformate in appartamenti per bed and breakfast, incluse piscine con il profilo ‘infinite’, solo che, invece di immaginare di nuotare in un mare oceanico o mediterraneo, qui sembra di piombare in un oceano verde di graspe e foglie verdi, con acini verdi, rossi, neri tra cui volteggiare, come delfini ebbri.

La vista a inizio settembre dalla finestra in banalissimi ma antichi mattoni rossi, in una notte di fine estate, la finestra dove gli architravi sono di pietra serena, su cui licheni gentili disegnavano arabeschi di tempo e di muffe secolari. La terra sotto scura, nera ed una pendenza da treggia alpina per arrivare ancora piu’ in alto, verso campi, oliveti, vigneti su pendenze impossibili, ergo raggiungibili. Nelle valli toscane, come ovunque ci siano vigneti, o olivi. Ovunque ci siano piante che raccontano del desiderio di permanere, di vivere a lungo in una zona. Perche’ un oliveto non e’ un campo di grano, necessita tempo, cura, acqua, sole, necessita di fare terrazzamenti che resistano non una stagione, come l’incannucciatura dei pomodori, ma secoli, ci vuole terra drenata, controllata. E i vigneti sono il complemento, sono la corona di rosario fra un olivo ed un altro. Chi coltiva gli olivi vuole permanere, vuole costruire, attorno a piante che si vedono crescere non nei giorni, ma nei decenni, societa’, culture e vuole che i figli ed i nipoti godano dei propri frutti. Una tradizione contadina della Val di Chiana come di altre parti della Toscana, e’ di dedicare un olivo ad una persona a cui si vuole bene, un figlio, un nipote, anche un genero. Perche’ quella pianta frutti, generi, come ci si augura delle persone a cui si vuole bene. Non ci si allontana dagli oliveti, dai vigneti, dalle nocciolete, che siano in Francia, Siria, Italia, che siano nella parte docile della Libia o sulle colline turche che stemperano verso il mare. Non ci si allontana da certi posti dove tutto, dalle rovine romane in cui ancora si abita, fino al senso di tradizione ancorato ad ogni pietra e volto, se non per motivi di ordine maggiore. Non si affronta il mare, non ci si butta in un oceano ignoto, se non per un senso primordiale di preservazione, per un cammino verso una salvezza incerta. Lo stesso Ulisse voleva tornare verso il letto di olivo, che era casa, la permanenza della sanita’ di una societa’, il focolare alimentato con i ceppi e le fascine della potatura degli olivi. Che facevano, nella casa di campagna, una fiammata spaventosa e dal calore bianco. Per poi attenuarsi, e lasciare una brace sottile e grigia, perfetta per le caldarroste. O per raccontarsi giornate normali, senza paure, senza terrore e senza racconti di dolore. O, perlomeno, di un dolore normale, tradizionale. 

Invece, oggi si parte, si lasciano, in pellegrinaggi disperati e dignitosi, quelle terre, si abbandonano, in maniera innaturale, olivi e vigne, si liberano animali da cortile e si comincia a correre, scappare, nuotare. Un anno fa, dalle finestre di una casa di campagna, dopo la festa, dopo un matrimonio spensierato di un amico, le colline mi raccontavano di partenze e di fughe, di pazienza certosina che deve competere a chi vuole costruire, a chi vuole lasciare qualcosa ai posteri che sia piu’ di un ricordo, di una memoria. Da qualche parte, un olivo, un cipresso, un albero, potrebbe portare il nostro nome. Le radici, nella terra arsa dal sole di agosto ed appena resa fresca e fertile dalle prime piogge di settembre. L’odore di pioggia sull’opus incertum o sull’asfalto. 

Settembre, un mese che ritorna, e che ogni anno mi auguro rimanga, aspetti a ripartire. Come sono partiti tanti, come sono svanite tante persone, abbandonate alla guerra, al mare, appena hanno lasciato quegli olivi e quei vigneti a cui appartenevano per diritto, per genetica Settembre, il mese dei pellegrinaggi, delle processioni di ringraziamento per il raccolto, di invocazione per la fine di una siccita’, per un futuro dove sia sempre piu’ chiaro che ogni societa’ si regge sul presente che si sacrifica e lavora per il futuro. O, di societa’, non se ne parla proprio. 

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‘Su un muro lungo la superstrada dalle parti di Livorno, qualcuno ha scritto ‘Piu’ potatori di olivi e meno blogger’. Caro Orazio, non sapendo come reagire, come accade spesso, ho sorriso. Poi, mentre guidavo lungo strade collinari immerse fra olivi e foreste, mi ha assalito lo sgomento. Le troppe parole non curano la terra, non rendono fertili e produttive le piante. Tutto fu creato dal verbo, ma, ogni giorno, i dati, le parole, i numeri, erodno quella nostra capacitá di rigenerare la terra.’ KJ Okker – L’assiduo

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