10% Di matrimonio gay e altre amenitàDel perché (e del quando) inizi a capire la differenza tra ‘house’ e ‘home’

Leggevo da qualche parte che l'azienda L'Oreal permette ai propri dipendenti periodi di trasferta non superiori ai 7 anni: dopo questo lasso di tempo, infatti, ci si abitua 'irreparabilmente' ad un...

Leggevo da qualche parte che l’azienda L’Oreal permette ai propri dipendenti periodi di trasferta non superiori ai 7 anni: dopo questo lasso di tempo, infatti, ci si abitua ‘irreparabilmente’ ad un nuovo stile di vita, e diventa molto più duro tornare alla vecchia routine. Non so per quale strano arzigogolio di libere associazioni questa notizia abbia portato alla mia testolina il concetto di casa, che in inglese si dice sia house sia home. Entrambi i termini significano appunto casa, ma il primo indica il luogo in sé, mentre il secondo si allaccia all’ambiente familiare. ‘I’m going to Laura’s house’ ma ‘I’m going home’, giustamente: vado a casa di qualcuno, mentre vado a farmi gli affaracci miei sotto il mio tettuccio, dove ho le mie cose e la mia vita.

Alle soglie del mio decimo anno a Madrid penso che di houses ne ho cambiate parecchie, ma la sensazione di sentirmi at home rimanga per qualche ragione sfuggente. Saranno i caffè lunghi o le parolacce troppo creative, ma nel mio expatriaggio ho raccolto queste considerazioni, a cavallo tra l’adattamento darwiniano e la sindrome del mollo tutto e vado a vivere nei boschi. Che di Into the wild mica ci piaceva solo quel manzo dell’attore, diciamocelo.

1. La vita è una montagna russa (e se vivi all’estero, è più un Top Spin)

Ai miei tempi quando si andava a Gardaland con il grest c’era il Top Spin per i grandi, tutto un susseguirsi di vortici, su e giù, giramenti e andirivieni. E per noi tapini ci stava l’Ortoburco, che era poi la versione sfigata della montagna russa: 15 minuti di rettilineo con una curvetta sulla destra, seguita da una discesina di 9 gradi di inclinazione e giro finito, con tanto di ciao con la manina alla mamma che dal basso ti faceva una foto con la macchina di cartone trovata nel Dixan. Ecco, a volte ho la percezione che, così in generale, la butto lì, comunque la vita non sai mai che verso prenda; ma prenderla a priori al di fuori della tua comfort-zone moltiplichi in modo esponenziali gli stimoli ed i rischi annessi. I vantaggi? Vivere tutto a tope, come si dice qui a Madrid – o andare al massimo per dirla alla Vasco. I contro? Essere costretti ad utilizzare l’antrughe già verso i 24 anni.

2. Sai quando arrivi, ma non quando te ne vai

Tutti gli expat ricordano bene come, perché, quando se ne sono andati. Molti hanno anche organizzato una festa. Chi l’ha fatto con un obiettivo già in tasca o in mente, chi all’avventura, chi per fuga, chi per ricerca. Ma quanti tra quelli che si trovano ancora fuori sanno dire con precisione quando la loro avventura terminerà, tra i vari ‘dipende dal lavoro’ / ‘ vediamo a fine contratto’ / ‘sono in attesa di una risposta’ etc. etc.? E intanto il tempo va, e passano le ore…

3. Inizi a ricercarli eccome i tuoi connazionali

Ricordo che durante il mio primo anno qui c’era un vero fuggi-fuggi generale verso la gente della tua stessa nazionalità: quindi, un francese non voleva manco morto andare a vivere con i suoi connazionali perché temeva di non imparare la lingua. I tedeschi facevano gli spendidi con gli spagnoli per crearsi un giro di amicizie locali; gli italiani snobbavano le fanciulle compatriotte per portarsi a casa solo conquiste iberiche e così via. Quando però la tua condizione di expat si consolida e gli anni passano, in realtà non vedi l’ora, dopo una settimana di lavoro, di farti una Moretti ghiacciata davanti a Fantozzi contro tutti con il tuo gruppetto di italioti.

4. Rivaluti i social

Anche se hai sempre fatto lo spocchioso ‘io facebook non lo apro mai’, d’un tratto ti rendi conto che è l’unico strumento immediato a tua disposizione per seguire le vite dei tuoi affetti più cari. Anche solo sbirciando quanti minuti fa si è connesso per l’ultima volta tuo cugino. E ti senti già un po’ a casa.

5. Quando torni a casa, sei anche un turista

Non importa con che frequenza tu faccia ritorno a casa: se vivi all’estero da tempo, ogni viaggio in patria è una nuova occasione per riscoprirla. E se prima un pomeriggio afoso in Valtrebbia era illusione di ristoro per chi sognava spiagge caraibiche, ma che poteva permettersi salamella abbrustolita su lembo di terra bagnata da acque gelide e mulinelli vorticosi una domenica pomeriggio dopo 45 minuti di curve in Fiat Panda (citiamo pari pari da fonti attendibilissime), ora è un appunamento che programmi con entusiasmo incontenibile settimane prima, e dal quale dipendono i tuoi prossimi movimenti sul sito della Ryanair.

In definitiva, casa non è il pavimento che calpesti o il tetto che ti protegge, ma il nido che ti porti dentro e che ti scalda davvero. Buon pre-mestruo anche a voi!

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