L'ambulantePrince il sovversivo tra musica gratis, “Internet è morta”, l’addio a Spotify e ai profili social

Quando lo vidi in concerto nel 2009 sul palco del Montreux Jazz Festival, mi resi conto che l'abito del sovversivo calzava a pennello a Prince. La pop star di Minneapolis, scomparsa ieri prematuram...

Quando lo vidi in concerto nel 2009 sul palco del Montreux Jazz Festival, mi resi conto che l’abito del sovversivo calzava a pennello a Prince. La pop star di Minneapolis, scomparsa ieri prematuramente all’età di 57 anni, è stata uno dei più accaniti ribelli contro lo strapotere delle major, che facevano il bello e il cattivo dempo dell’industria discografica.

Prince era nato discograficamente alla fine degli anni ’70 sotto l’ombrello della Warner e ha visto, nel corso dei suoi 100 milioni di dischi venduti, il tramonto del vinile, l’ascesa al trono del CD e l’epopea della musica digitale tra le grinfie degli store online come iTunes e i covi dello streaming alla Spotify.
Il “Principe di Minneapolis” è stato il produttore più giovane fin dall’opera prima For You. Prince aveva capito come mettere in tavola le carte da gioco; chi investiva denaro in musica poteva permettersi il lusso di non chinare il capo della creatività artistica. Il dandy che c’era in lui non estrometteva la figura di producer, anche se a tanti infastidì l’elogio di Miles Davis che definì Prince il nuovo Duke Ellington.

Questa radice da producer lo fece essere avanguardista, persino sul destino del disco come manufatto. Negli anni ‘2000 il pubblico perse la testa per Napster e per il P2P, perchè la morale della favola era volere la musica gratis. Perchè non accontenarli?
Nel 2004 Prince regalò la copia del suo album Musicology a chi andava a vederlo in concerto, ripagandosela con una piccola maggiorazione sul costo del biglietto. In USA furono distribuiti 3 milioni di dischi. Con il successivo 3121 cambiò rotta e non fu solo un capriccio lunatico: disco a pagamento e concerto incluso nel prezzo.

Eppure quest’anima sovversiva che voleva stare a passo con i tempi lo fece acclamare prima la musica liquefatta, distribuita negli store digitali sotto le spoglie di bit, e poi fare marcia indietro con l’epitaffio “Internet è morta”.
Il Principe di Minneapolis iniziò a vedere dileguata l’innovazione in Rete e così prese le distanze da colossi alla Apple che non versavano pagamenti in anticipo sulle canzoni.

L’anno scorso Prince abbassò le saracinesche della sua musica a piattaforme come Spotify e Deezer, cedendola soltanto a quella del rapper Jay Z. Minacciò azioni legali contro chiunque avesse lanciato su YouTube video pirata con la sua musica e chiuse inaspettatamente i profili Facebook e Instagram, rompendo il rapporto con la community.

Eppure in questo genio di sregolatezza, che ha nascosto nel cilindro del pop stelle filanti di jazz, funk e soul, le nuove tecnologie e il digitale restano il ribaltamento del rapporto univoco tra artista e produttore di sé stesso. Paradossalmente innovazione può voler dire anche essersela data a gambe dai social network. Chissà se oggi Prince cambierebbe idea vedendo sulla timeline quasi 1 milione di tweet che lo salutano.