L'ambulanteQuando il vinile sorpassa la musica liquefatta del digitale

Non facciamo i finti tonti. Fino ad una manciata d'anni fa davamo per spacciati i vecchi dischi in vinile. Dopo che la puntina del giradischi dei nostri genitori era stata soppiantata dal laser dei...

Non facciamo i finti tonti. Fino ad una manciata d’anni fa davamo per spacciati i vecchi dischi in vinile. Dopo che la puntina del giradischi dei nostri genitori era stata soppiantata dal laser dei lettori CD, c’eravamo messi l’anima in pace: nel nuovo millennio mp3 a destra e sinistra; musica liquefatta; canzoni al costo di uno stecca di liquirizia su iTunes; discografie in streaming su Spotify; collezioni di visualizzazioni su YouTube.

In questo scenario cosa c’entra di nuovo il vinile? L’anno scorso negli USA ne sono stati venduti quasi 12 milioni con un incremento delle vendite del 30%, staccando così la musica digitale.
Effetto nostalgico di massa? Per niente, anche perché avevo notato, tra i cofanetti in vinile in pole position su Amazon nel secondo semestre del 2015, quello di Amy Winehouse, che musicalmente non appartiene per niente alla generazione del vecchio LP.

Profumo d’affari d’oro? Può darsi e lo sanno bene le major che stanno sfornando a raffica da qualche anno a queste parte pregiati cofanetti in vinile: Beatles, Rolling Stones, ABBA, Clash, Deep Purple, Creedence, Genesis, Who, Black Sabbath, Bruce Springsteen, Public Enemy, Bob Marley, Blur, Jesus & Mary Chain, giusto per citarne qualcuno.

Voglia di feticcio? Può darsi e questo vale anche per gli under 30 che si sono ritrovati tra le mani l’intera discografia dei Queen rimasterizzata in vinile colorato.

Voglia di suono restaurato? In parte. Pensiamo agli interventi sui primi di dischi di David Bowie, passati quasi in sordina l’anno scorso per poi fare il botto dopo la scomparsa del Duca Bianco.

Voglia di qualche sorpresa da collezionista? Perché no. L’estate scorsa sono stato tra i primi a lanciare l’allarme in Italia sull’imperdonabile gaffe fatta con il boxset di John Lennon. Nell’album Rock ‘n’ Roll avevano lasciato fuori il brano You Can’t Catch Me.

Se non è revival cosa spinge le nuove generazioni verso il vinile? Le ristampe di oggi sono diverse da quelle dei tempi andati. Gli LP hanno un peso di 180 grammi rispetto ai predecessori e spesso sono arricchiti da un disco aggiuntivo con inediti e outtake, rifiutato dai puristi, disposti ancora a pagare a peso d’oro le vecchie edizioni nell’usato.
In compenso però recuperano i remix originali e fanno ritrovare fisicità e “socialità” ai nativi digitali, convinti che quest’ultima sia rinchiusa soltanto tra le quattro mura dei social network. Date un occhio all’interno delle copertine delle ristampe in vinile di Eric Clapton degli anni ’70 e scoverete già gli antenati dei selfie fatti in casa o nello studio tra una session e l’altra.

E poi, misurando il grado social, un tempo i dischi si scambiavano, ci facevano conoscere nuove persone, e fungevano persino da messaggeri d’amore, quando lasciavamo in un angolo della copertina una dedica a penna al nostro lui o alla nostra lei.
Il digitale liquefatto ha tentato invano di convincerci che una canzone o un brano fossero un mucchio di bit accartocciati a 24-bit. Non è così. Non sono un capriccio retrò la puntina che ara il brano nel solco del vinile, la grafica della copertina o l’interno che raccogliere dettagli di un progetto discografico.

Lo ha capito persino il piccolo Mattia, figlio di un’amica, che in un viaggio in metropolitana giocherellava con un paio di auricolari. Sembrava che gli occhietti a mandorla volessero dirmi “E adesso?”. Adesso ci sta che Mattia riceva il suo primo vinile. Poco importa se lo tratterà alla maniera di un disco volante, perchè questo è l’unico luogo che fa della musica la signora del futuro.

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