Ho visto “Dieci”, lo speciale del Novantesimo minuto su Francesco Totti. Il servizio ha detto più o meno tutto, dal debutto nel 1993 fino alla doppietta dell’altro giorno. Ci sono stati dentro – poi – Mazzone, Sensi, il cucchiaio a Van der Saar. E anche er cuppolone e Lando Fiorini e il Tevere, insomma quelle cose lì.
Io quando approccio il fenomeno Totti non so mai bene cosa pensare. Fenomeno da intendersi in senso soggettivo e non oggettivo. Anche perché l’aspetto sociologico dell’attaccamento alle “bandiere” ha bisogno di poche spiegazioni: una città, un gruppo, una nazione deve (deve!) riconoscersi nelle “bandiere”.
Non so cosa pensare del Totti calciatore fenomenale, perché – anche se mi faccio aiutare dall’etimo (“faino” in greco vuol dire mostro, manifesto) – non mi spiego come una classe immensa e un carisma indiscutibile (che si manifestano in modo naturale) e una capacità di cambiare le partite da solo (che si mostra anche a 38 anni) non siano stati in grado di affermarsi con l’irrevocabilità delle cose ineluttabili. Perché, a parte gli scudetti (pochi), anche il Mondiale non è stato il Mondiale di Totti, se ci pensate bene.
E allora ritengo che qualcosa sia mancato, al Totti calciatore. Che qualcosa (troppo) sia rimasto in canna. Che avrebbe potuto ancora mostrare un sacco di cose, quel calciatore fenomenale. E faccio una domanda, anche se pare una bestemmia: e se a Totti fosse mancato il coraggio di manifestare urbi et orbi di essere un campione? Se l’amore per Roma e i romani fosse stato solo un alibi per non navigare mai veramente in mare aperto?
Sì, uno scudetto con la Roma vale dieci titoli con il Real Madrid, ma tu intanto vincine dieci di titoli e diventa re di Spagna. Provaci. Vuoi scommettere che a Roma ti avrebbero voluto più bene di quanto te ne vogliono adesso?