È successo poco più di due settimane fa. Siamo in una delle zone di Aleppo martoriate dall’alleanza terroristica Assad-Putin. Shamel è in casa con la moglie. Una bomba, una delle solite e tante sganciate senza badare a spese, e l’abitazione prende fuoco. Feriti, i due vengono accompagnati in uno degli ospedali che il regime non ha ancora distrutto. Lei entra in coma. Pochi giorni dopo dà alla luce il bambino che portava in grembo e muore. Stremato e ignaro della morte dell’amata, Shamel ci abbandona venerdì scorso. La coppia lascia tre figli orfani in un mondo in rovina, sotto le rovine. Il ricordo del sorriso di quel ragazzo alto e robusto che tante volte aveva dato speranza e fiducia agli amici e alla gente del posto gli sopravvive…
Se ne va così un altro eroe di Aleppo: Ahmad Alhamodn detto Shamel. Moderno Sandokan, usava la macchina fotografica come fosse sciabola. Catturava con l’obiettivo istanti, orrore e poesia di una città colpevole solo di voler essere libera, di essere “contro” il regime dittatoriale di Assad, contro il terrore delle sue bombe, di quelle di suoi alleati, contro uno degli strumenti mediatici a servizio di quel terrore, l’ISIS.
Pensavo che quelle immagini avrebbero potuto raccontare la nostra storia e spingere la comunità internazionale ad agire o almeno ad aiutare i civili, ma di recente mi sono reso conto che la mia idea era ed è senza speranza.
Reporter, e attivista, “ribelle”, solo qualche mese fa parlava con queste parole della sua missione. Scoppiata quella che è “una rivoluzione contro l’ingiustizia, non una guerra civile” (cit.), aveva cominciato a girare per Aleppo con la macchina fotografica e la videocamera. Lo accompagnavano amici più giovani, quelli con cui poi aveva fondato l’Aleppo Media Center. Il gruppo di giornalisti coordinati da Shamel-ragazzi poco più che ventenni-sfiorando la morte ogni giorno, monitorando e aggiornando con cura i social, è oramai diventato col tempo un punto di riferimento informativo importante per molti siriani (e non solo). Li conoscete anche voi. Ricordate il video di Omran, quel bambino seduto su una poltrona arancione in un’ambulanza? Lo ha fatto uno dei reporter dell’Aleppo Media Center…Quello, come tanti altri che non sono diventati virali e che non hanno visto che i pochi che stanno seguendo la questione siriana.
Shamel sorrideva, sorrideva sempre. Cercava la bellezza anche tra le rovine. Lavorava inoltre per un’associazione che si prende cura dei civili con attività socialmente utili e assistenzialiste, i Life Makers. Con un’italiana aveva collaborato in un progetto per le scuole e per i bambini.
Shamel non mollava mai. Lo racconta egli stesso in questa dichiarazione condivisa da Humans of Aleppo. Leggiamo le sue parole: possono raccontarci della Siria molto più di quanto possa un articolo.
“Mi chiamo Shamel Al-Ahmad. Ho 35 anni, sono sposato e ho due figli. La mia vita è cambiata qualche anno fa, quando ho visto in un video le forze di sicurezza del regime siriano umiliare la mia gente…
Nel luglio 2012 i Freedom Fighters (i “ribelli”) sono entrati nella mia città, Aleppo. Prima ero ossessionato dall’idea di essere arrestatoi e detenuto dalle forze di regime. Con loro eravamo fuori dal controllo di regime, e quindi non ho dovuto più nascondere la mia identità.
Il rischio di essere arrestato non c’è più, ma la mia città è diventata obiettivo della vendetta del regime. Da allora è stata oggetto delle sue attenzioni con artiglieria, aerei da combattimento, bombe e persino missili Scud. Abbiamo sperimentato tutte quelle armi letali che ho documentato con il mio obiettivo fotografico. Pensavo che quelle immagini avrebbero potuto raccontare la nostra storia e spingere la comunità internazionale ad agire o almeno aiutare i civili, ma ultimamente mi sono reso conto che la mia idea era ed è senza speranza.
A un certo punto l’ISIS ha assunto potere in alcune parti del mio paese. Ho subito capito che la nostra battaglia per la libertà sarebbe stata infinita e che Assad non sarebbe stato il nostro unico problema.
Mi sono unito al team di “Life Makers, lavorando sullo sviluppo sociale e cercando un modo per convivere con la nuova realtà, la realtà in tempo di guerra.
“Talvolta cadevo in depressione, deluso. Alle volte perdevo la speranza. Ora trascorro il tempo con i miei amici e fratelli, i miei compagni della rivoluzione, che sono appunto la mia speranza e fonte di forza per superare la mia depressione.
Mesi fa qualcuno mi ha offerto di partire in barca con lui per l’Europa. Ne abbiamo parlato molte volte e stavo per accettare, ma alla fine ho detto di no…
La Siria è il mio paese e la mia causa.
Inoltre non posso mettere a rischio la vita dei miei due bambini. Sono tutto quello che ho in questo mondo. Un mio amico è andato in Germania verso la fine del 2015. Sembrava felice. Usiamo Skype per sentirci ogni settimana e lui continua ad incoraggiarmi a fare come lui. Io continuo a rifiutare. Nonostante tutte le ragioni, che aumentano ogni giorno e mi spingono a lasciar perdere, io sono il tipo di persona che non può sopravvivere lontano dalle strade.
Aleppo è parte di me, non posso lasciarla sola.
Mi dispiace che Aleppo si trovi ad affrontare tutto questo orrore, ma posso ancora respirare la sua libertà.
Sono stato rattristato da amici che ho perso e che continuo a perdere, soprattutto quelli che sono vicini e fratelli nella rivoluzione. Molti hanno abbandonato la speranza e non riescono ad andare avanti. Io non li biasimo, ma mi sento dispiaciuto per non averli intorno a me.
Io non giudico chi decide di lasciar perdere e va fuori a chiedere asilo, perché molti sono stati costretti a farlo. Io sono solo contro l’idea di essere lì a godersi la vita senza lavoro o scopo, o senza l’obiettivo di servire la propria patria. Io non voglio che siano un onere per le comunità ospitanti.
Infine, non è facile rimanere in Siria più, dal momento che nessuno sa come e quando si concluderà la sua storia. Io però credo che ci sia ancora speranza per continuare a lottare.
Shamel, Aleppo Media Center