Ve la ricordate questa foto? E’ diventata virale nel 2015 dopo che Rupi Kaur, poetessa indiana, l’aveva postata su Instagram. L’immagine faceva parte di un progetto fotografico, Period (il progetto completo lo trovate qui), che affrontava il tema del tabù delle mestruazioni. Ma il contenuto era stato segnalato come “inappropriato” e subito rimosso dal social. Dopo una serie di proteste, che chiamavano in causa l’enorme quantità di immagini molto più offensive di questa che circolano sui social, Instagram le ha chiesto ufficialmente scusa e ha ripubblicato l’immagine, sostenendo che fosse stata cancellata per sbaglio. Già, per sbaglio.
Molti, da allora, associano il nome di Rupi Kaur solo a questa foto. Ed e’ un peccato. Non le abbiamo dato nemmeno un volto, perché a rimanere impressa è stata tutt’altra parte del suo corpo. Come al solito tendiamo a fermarci sulla linea di superficie di ciò che gira in rete, abituati come siamo a ingurgitare senza masticare nè digerire i testi – spesso vomitati – le notizie o le fotografie “spettacolari”, buttate lì per raccogliere una manciata di like. Ovviamente chi si è sentito “violentato” da un’immagine così provocatoria, ha chiuso subito la saracinesca.
Nel frattempo, Rupi Kaur è diventata una poetessa da mezzo milione di copie con la sua raccolta di poesie “Milk and Honey”. E’ stata definita dall’Huffington Post “la poetessa che ogni donna dovrebbe leggere”. Io l’ho letto il suo libro e credo che dovrebbero leggerla tutti, maschi compresi.
Ma perché tanto successo? Se provate a sbirciare il suo profilo Instagram troverete testi in grado di provocare reazioni non banali, spesso accompagnati da disegni altrettanto espressivi. E ne viene fuori un bel quadro, delicato e molto, molto incisivo. Rupi riesce a penetrare dritta nel mondo dei più giovani utilizzando gli strumenti giusti: immagini e parole messe a disposizione dei social. Non è l’unica a farlo, è vero. Ma la sua poesia, che sgomita tra tweet, notizie, post, immagini da paura, frasi celebri più o meno citate, opinioni non richieste, convinzioni senza fondamento, risulta vincente. Non è facile oggi fare o proporre poesia. I lettori sono pigri, gli editori sono disinteressati. Ma come diceva lo stesso Montale «non c’è morte possibile per la poesia», e che «la grande lirica può morire, rinascere, rimorire, ma resterà sempre una delle vette dell’anima umana».
Ecco, la poesia di Rupi racconta il nostro tempo e sdogana la “vecchia lirica”, trasportando nell’attualità un genere fin troppo bistrattato, senza però rincorrere il clamore, come fa il rap (definito da tanti “la nuova poesia”), ad esempio, intriso di messaggi omologati e autoreferenziali. I versi di Rupi sono perfetti perché da un lato soddisfano il bisogno di messaggi brevi – siamo tutti un pò affetti da tweet-mania – dall’altro lavorano molto più dentro, portano a galla sentimenti, angosce e paure comuni, senza mai privarci della speranza. Leggere poesie, queste poesie, ci porta a ricavare un momento di riflessione, di silenzio pieno, di ripensamento.
Ridando un ruolo e una funzione alla poesia – snobbata da tanti e ignorata dalla maggior parte dei giovani – Rupi Kaur compie un piccolo miracolo. Che non è solo quello dei 700 mila followers su Instagram. Ora speriamo che la taduzione in italiano non si faccia attendere troppo, perché Milk and Honey sarebbe un bellissimo regalo da mettere sotto l’albero.