Mi è stato chiesto da uno dei magazine online per cui scrivo se mi andava di fare un pezzo sulla folle corsa verso il referendum costituzionale “tra fake, bufalotte stupide, immagini condivise, hashtag, contenuti sponsorizzati, dichiarazioni di voto, toni alti” (cito il messaggio ricevuto). Mi sono reso conto, con qualche inquietudine, che per me era semplicemente impossibile. Non ho seguito nessuna di queste cose. Non sono in grado di scriverlo.
Il mio aperto disprezzo per questo sottogenere di dibattito costringe a chiedermi cosa deve fare un giornalista – che però è anche un utente dei social, e un cittadino, e una persona che ha una vita – rispetto alla montagna di bufale, meme, cavolate a proposito del referendum e in generale su tutto quanto. La pura verità è che io non clicco nessuna di queste cose, mai. Anzi segnalo da anni al social network che se possibile non vorrei vederle, tanto che oggi il mio News Feed sarebbe degno di quello di Hegel, se il filosofo fosse ancora tra noi (lo specifico per alcuni candidati premier che sui social vanno fortissimo, ma in cultura generale molto meno).
Confesso i miei peccati e le mie omissioni: non perdo un solo secondo del mio tempo a discutere di politica con dei cretini aggressivi. Li segnalo tutti quanti al sito, molto spesso li banno (cioè li tolgo per sempre dalla mia vista) solo per come li vedo comportarsi con gli altri senza che neppure mi abbiano rivolto la parola. Il mio social graph – la virtualizzazione delle mie attività algoritmicamente trattata – ha letteralmente eliminato le più note macchine di propaganda del movimento cinquestelle, in primis, e di tutti gli altri movimenti e partiti; non vedo quasi mai queste chiacchieratissime fake (pare siano l’origine di tutti i mali del mondo: non credeteci) tranne quando proprio me le sbattono in faccia, e in quel caso le segnalo e non clicco, né commento; quando ho un po’ di tempo libero, segnalo le persone che fanno commenti razzisti o violenti e banno quelle che mi impressionano di più, che mi fanno paura. Sì, paura.
La mia condotta si basa sull’assoluta convinzione, sfiduciata, che nessuno cambia mai idea di fronte all’opinione altrui. Mai. È anche stato matematicamente dimostrato: il debunking ha il solo effetto di rivitalizzare le bufale invece di contrastarle. Le persone arrivano a certi contenuti per convinzioni personali, probabilmente maturate nel loro percorso di vita offline, e non abbandonerebbero queste convinzioni neppure se scendesse Gesù Cristo a dimostrare che si sbagliano. Gli darebbero del piddino. Minimo.
Dunque è inutile parlare. Si può dialogare soltanto tra persone di un certo livello, anche su posizioni differenti, ma deve essere il proprio, di livello. Nelle mie notizie sul social, vedo e leggo post di giornalisti, di amici e amici degli amici, dove ci sono perlopiù contenuti costruttivi. Anche quando parlano della bufale o delle schifezze di questo mondo, non sono le schifezze medesime a farsi presenti, ma la mediazione di una persona che vale la pena leggere a proposito di quell’argomento. Che ha qualcosa da dire dopo un’attenta analisi.
Dal punto di vista tecnico, faccio quello che è raccomandabile, cioè filtrare con la mia intelligenza, non contribuire alla diffusione di notizie false, di storture, di messaggi violenti. Non faccio l’errore di condannare quei comportamenti finendo con l’incentivarli, come ha fatto la Boldrini, secondo me, quando per denunciare il cyber harrassment da lei subìto ha finito con l’invitare migliaia di persone a esercitarsi aggredendo coloro che l’avevano aggredita secondo gli stessi stilemi. No, io oppongo il mio personale (attenzione: profilatissimo) diniego. La mia regola è “non contribuisco e se posso non partecipo”.
Questo significa che dove sono io si sta abbastanza bene, ma significa anche che sono in una zona di conforto. Anticipo i detrattori: ma il giornalista ha il dovere etico di descrivere la realtà, una volta si diceva “consumarsi le suole”, oggi si potrebbe dire “consumare la tastiera”. Quel che non piace è comunque un fenomeno sociale, che è difficile comprendere senza guardalo in faccia. Tutto giusto. Eppure, mi chiedo se davvero ci sia qualcuno che possa affermare di non essere chiuso nella sua bolla. Lo siamo tutti, anche nel mondo fisico. Non parliamo con milioni di persone, non amiamo milioni di persone, e non ci interessa che una manciata di persone e di tutte le altre ce ne freghiamo.
I media? Molto presenti, occupano moltissimo del nostro tempo, per farci sempre sapere cosa pensano di un determinato fatto, generalmente facendo molto male il loro mestiere, perché non sanno separare i fatti dalle opinioni oppure per l’esatto contrario: non aggiungendo un filtro culturale alle mere dichiarazioni del politico di turno che alimenta altre falsità. I media tradizionali sono assai più colpevoli per aver sostanziato certi meccanismi, certi personaggi orribili, montagne di falsità, ma ovviamente puntano il dito contro il web, così si notano meno.
Dunque, che deve fare un giornalista? Me lo chiedo senza avere una risposta. Tenere sempre le mani nel letame, averlo sempre sotto il naso? E a che scopo? È davvero così che si può raccontarlo meglio? Forse. Forse no. Non dovrebbe essere questione di fonti, di qualità, di esperienza? Mi chiedo fino a che punto un commentatore delle cose internettiane può spingersi in un comportamento che sarebbe corretto se facesse un altro mestiere: dovrei frequentare i bassifondi, contribuendo matematicamente al loro successo a più alti livelli, dicendo alle persone, credibilmente, di non frequentarli. Ma è davvero possibile? Oppure dovrei come cittadino e utente contribuire a diminuire il rating della robaccia evitando di condividerla, commentarla e anche solo visualizzarla, mantenendo tuttavia la capacità di giudicarla. Ma è davvero possibile?
Non so rispondere. So però che io non scriverò un articolo sulla bullshit referendaria perché ho deciso di non saperne niente, non ho voluto, e quando ho parlato del referendum ho scambiato parole con persone che si vergognerebbero di condividere certe sciocchezze semi-diffamanti. Ho preferito così. Preferisco così.
Se mi sbagliassi?