Una delle ragioni per cui diverse persone di mia conoscenza voteranno sì al referendum è la fine della cosiddetta “navetta” tra Camera e Senato, ovvero quel procedimento di passaggio da un ramo all’altro del parlamento che ritarda (anche se sarebbe meglio usare il condizionale) l’iter legislativo. Un altro motivo, molto à la page tra chi sostiene la riforma è quello dell’ammodernamento anche politico del paese: se dovesse vincere il no – insieme a catastrofi quali lo spread alle stelle, l’uscita dall’euro, l’Impero che colpisce ancora e, in omaggio, una piaga d’Egitto a scelta – ci sarebbe l’eventualità che leggi e provvedimenti utili per il paese, e di impianto progressista, non troverebbero più “casa” nella futura politica parlamentare. Ma è certo che tutto questo corrisponda a verità? Siamo cioè sicuri che certe convinzioni tengano davvero conto di quella che è la realtà politica italiana?
Se guardiamo al primo punto, ovvero alla lentezza con cui certe leggi vanno avanti, possiamo ricordare alcuni mirabili esempi per cui, quando il parlamento ha voluto, i lavori sono andati spediti. Si pensi alla legge Fornero e al lodo Alfano, per fare solo due esempi. Di altri, ancora, si lamenta il percorso accidentato dando la colpa al sistema bicamerale attualmente in vigore. Monica Cirinnà, ad esempio, fa notare in un video sulla pagina Facebook del fronte del Sì che per le unioni civili ci sono voluti quasi tre anni. Peccato che, a ben guardare, le lungaggini del Senato siano state determinate da una precisa volontà politica (a cominciare dai veti dei cattodem). Una volta approdata alla Camera, infatti, la legge è stata approvata in pochi mesi. Il discorso, quindi, non riguarda l’impianto costituzionale ma la qualità della nostra classe politica. Con il Sì al referendum, quest’ultima rimarrà uguale a prima. A cambiare sarà, invece, il sistema delle garanzie.
Riguardo invece il secondo argomento, ricordo le parole di Emma Bonino che così si è espressa: «È probabile che se vince il No ci sarà un cambio di quadro politico, si dice così in politichese. E ho l’impressione che i temi che stanno a cuore a noi radicali non riceverebbero maggiore ascolto da Salvini, Brunetta e perfino Grillo». A tale proposito ricordiamo che proprio nei giorni scorsi una proposta importante sulla legalizzazione della cannabis (tema caro ai Radicali) ha ricevuto una sonora bocciatura da un’inedita alleanza tra Pd e Lega Nord. La stessa che potrebbe prodursi, su altre questioni, con la nuova camera in cui è appunto la volontà politica a fare la differenza e non certo l’ordinamento dello Stato. La stessa identica cosa potrebbe valere per tutta una serie di provvedimenti futuri, dall’eutanasia al matrimonio egualitario, passando per l’adozione alle coppie gay. Le forze retrive presenti nei vari partiti, Pd incluso, verranno semplicemente concentrare a Montecitorio dove è plausibile che la lotta politica diverrà ancora più aspra su certi temi.
Concludo queste breve riflessioni facendo notare che soprattutto quest’ultimo voto inficia la retorica dei sostenitori del Sì per cui, se voti in un certo modo, voti con i fascisti, con Grillo, con l’antipolitica e a momenti anche con Satana in persona. Sembra, in casa Pd e dintorni, che le “accozzaglie” – e ringraziamo ancora il presidente del Consiglio per immettere nella narrazione politica sul 4 dicembre ulteriori elementi “incendiari”, quando sarebbe più opportuno placare gli animi, a maggior ragione se si ha l’ardire di rappresentare le istituzioni – si possano dividere tra quelle utili ai propri scopi e quelle che non hanno legittimità politica solo perché non piacciono a chi le definisce in questo modo. Atteggiamento, a ben vedere, che non fa un favore al concetto di coerenza. Ma tant’è.