Blog Notes di MartaAlberto Oliva, trentenne regista teatrale. Ormai uno dei pochi, e i suoi spettacoli sono sempre in scena

Dal 9 al 15 novembre scorsi era al Litta per il “Giulio Cesare” di Wiliam Shakespeare, da lui diretto e riadattato con Mino Manni. Dal 29 novembre al 4 dicembre è stato al Franco Parenti con un con...

Dal 9 al 15 novembre scorsi era al Litta per il “Giulio Cesare” di Wiliam Shakespeare, da lui diretto e riadattato con Mino Manni. Dal 29 novembre al 4 dicembre è stato al Franco Parenti con un convincente “Il Topo dal sottosuolo”, adattamento che prende spunto da “Delitto e castigo” di Fedor Dostoevskij sempre per la sua regia e riadattato con Manni. Ieri, domenica 11 dicembre, ore 16.30, ha firmato al Litta la regia della prima e delle prossime opere liriche parte del progetto “Opera Young”, in cui tutto lo staff è di giovani con l’intento di rivolgersi a chi si vuole avvicinare alla lirica e al melodramma (“Il rigoletto” di Verdi era la pria opera della rassegna, cui seguirà “Le nozze di Figaro” il 22 febbraio, “L’Elisir d’amore” il 2 aprile e la “Tosca” il 7 maggio). Se la direzione musicale è affidata a Marco Beretta, l’orchestra e il coro sono di Opera Young, le luci di Marco Meola, trucco e acconciature di APTA Accademia Professionale di Trucco Artistico Società Umanitaria di Milano, i costumi sono di Artescenica di Reggio Emilia, aiuto regia Arianna Aragno, tutti trentenni, la regia anche di questi lavori è di Alberto Oliva, milanese, classe 1984, tre anni di scuola di regia alla Paolo Grassi e una laurea triennale in teatro all’Università Statale di Milano, che senza mezzi termini possiamo definire una figura tra le più promettenti e attive del panorama registico teatrale italiano.

Perché, secondo te, sei quasi l’unico trentenne a Milano che si cimenta ancora nella regia teatrale tradizionalmente intesa?

È vero, tra i miei coetanei sono considerato molto classico. Forse perchè sono molto legato al testo teatrale, e al rapporto col pubblico: voglio portare lo spettacolo al confine tra il realismo e la fantasia, e portare il pubblico quasi al limite della condivisione dell’azione teatrale con gli attori. Per fare tutto ciò è necessaria una squadra con un progetto ben preciso, che il regista deve coordinare.

Al Franco Parenti, infatti, ne “Il Topo dal Sottosuolo”, il pubblico si trova proprio fisicamente nella ricostruzione molto precisa di una locanda di San Pietroburgo: il legno avvolge e riscalda il locale, qualche tavolino su cui si trova una caraffa di vino rosso con due bicchieri.

Questo spettacolo è parte del progetto “I Demoni”, dedicato proprio a Dostoewskij, autore che da anni Mino ed io siamo studiando: amiamo l’umanità che traspira dal fastidio verso l’esterno e le difficoltà con cui si scontrano tutti i suoi personaggi. Mi piace esprimere l’insofferenza dei protagonisti di Dostoevskij, è una materia che va continuamente approfondita.

Lo spazio scenico era molto curato seppur con materiali non necessariamente costosi…

Esatto: la regia non è un vizio. La regia è coordinamento, e oggi non c’è più chi coordina la squadra di uno spettacolo, la compagnia. I materiali scenografici possono costare zero, eppure riescono a dare un senso aggiunto se usati correttamente. Al massimo le persone costano, ma il vero teatro si fa anche con poco. È importante l’attenzione su tutti i fronti.

Quali sono i tuoi registi di riferimento?

Certamente Strehler per la poesia, Ronconi per l’uso dello spazio, Andée Ruth Shammah per avermi trasmesso la cura per il dettaglio oltre che il piacere per una forma di artigianato teatrale, Castri per il suo lavoro sul testo e anche per i tipi di spettacoli che sceglie di rappresentare, e poi Bruni e De Capitani.

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