La domanda che campeggia nel titolo del presente post deriva dall’esperienza che il lettore si forma, giorno dopo giorno, da qualche mese (o, forse, anno?!?) a questa parte in materia di mondo bancario, mentre la curiosa figura riportata qui sopra avrà una spiegazione leggendo queste righe.
In effetti l’occhio di un non addetto non riesce a comprendere chiaramente chi o cosa sta reggendo, regolamentando e controllando il sistema bancario, perché non passa giorno che qualche importante personaggio od autorità non si pronunci affermando di avere fatto o di stare facendo tutto il possibile, a dispetto dei risultati pessimi sotto gli occhi di tutti.
Il “rimpallo di responsabilità” sembra, infatti, davvero diventato lo sport nazionale (ed europeo) in materia bancaria, considerando come per l’attuale crisi che sta travolgendo le banche italiane (e non) l’individuazione delle cause da parte dei soggetti coinvolti è – a dir poco! – “frastagliata”:
Ÿ► l’A.B.I. (l’Associazione Bancaria Italiana) dà la colpa alle regole comunitarie ferree ed insensate ed alla mancata vigilanza delle autorità preposte;
►Ÿ una delle due autorità di vigilanza (Consob) addossa la colpa (neanche tanto velatamente) ai clienti bancari (ignoranti) ed all’altra autorità di vigilanza (Banca d’Italia);
Ÿ► quest’ultima, però, non ci sta e se la prende con il Governo, per avere insensatamente risolto le quattro banche ed avere scatenato il putiferio;
Ÿ► il quale Governo dice di aver fatto tutto il possibile e, anzi, di avere salvaguardato i correntisti delle banche, ma che, parimenti, la sua azione é soggetta alla normativa comunitaria inderogabile (anche se non condivisa) e così il cerchio è chiuso.
Di esempi di quanto sopra appena affermato ce ne sono oramai decine ed in questo blog ne abbiamo spesso segnalati molti (cfr., ad es., I guai di Veneto Banca con l’A.G.C.M. e la reputazione delle banche ai minimi storici: di chi la responsabilità maggiore? “Dei clienti ignoranti”: parola di Consob (ma non solo)).
Peraltro, solo per citare quello che è successo negli ultimi giorni, ricordiamo questi tre esempi sintomatici della situazione di caos imperante nel sistema bancario:
I] è di fine settimana scorsa la decisione del Consiglio di Stato di sospendere cautelativamente la circolare della Banca d’Italia, contenente le misure attuative per la trasformazione della banche popolari in Società per Azioni voluta ed varata dall’attuale Governo nel 2015. Senza entrare nel merito della questione la sospensione è stata ottenuta dai difensori di alcuni soci della Banca Popolare di Sondrio e di quella di Bari sollevando dubbi sulla legittimità di intere parti della riforma, sulla cui costituzionalità dovrà ora pronunciarsi la Consulta;
II] è di inizio settimana scorsa l’assoluzione da parte del G.U.P. di Arezzo di alcuni alti dirigenti e amministratori della Banca Etruria dall’accusa di avere “ostacolato la vigilanza”. In buona sostanza, quindi, tali soggetti non hanno fatto nulla per impedire a Banca d’Italia (e Consob) di esercitare la loro funzione di controllo, con gli esiti noti a tutti (il commissariamento, pochi mesi prima della “risoluzione” dell’istituto creditizio aretino e la perdita di svariate decine di milioni di euro per i risparmiatori “azzerati”);
III] è, infine, di sabato 3 dicembre scorso la notizia apparsa su IlSole24Ore in cui le banche lanciano un accorato appello per fermare le nuove regole che il Comitato di Basilea vorrebbe emanare il prima possibile (addirittura prima della fine dell’anno) in materia di normativa sull’attività creditizia, la c.d. Basilea 4. Sia detto per inciso che ancora non è a regime la precedente normativa (Basilea 3), che entrerà compiutamente in vigore solo il 1° gennaio 2019 (cioè fra più di due anni) e già il normatoe stata pensando di modificare una parte importante sulle regole bancarie in tema di credito e finanza. Sul perché le banche chiedano il differimento di Basilea 4, l’articolo summenzionato è più esaustivo e chiaro e ci trova d’accordo nella quasi totalità delle affermazioni ivi contenute, ma quello che qui interessa è far notare che sembra che la sola intenzione del legislatore comunitario sia di legiferare a tutti i costi, non importa se le modifiche sia ancora peggiori delle normative modificate. La parola d’ordine sembra davvero “attivismo” e quasi mai a favore di soggetti deboli, ma sempre sulla “scia” dei soggetti più forti.
In estrema sintesi, quindi, i tre fatti summenzionati possono essere così riassunti:
la Corte Costituzionale dovrà decidere se la riforma proposta dal Governo sia costituzionale, mentre la magistratura afferma che una banca non ha ostacolato la vigilanza, vigilanza che è stata, quindi, perlomeno trascurata (visti gli effetti) e che è regolamentata da una normativa (ancora non a regime) che il legislatore vuole ulteriormente cambiare, apertamente contestato dalle banche stesse.
Detto in altre parole, molto semplici e dirette:
tutti contro tutti, alla faccia del legame di fiducia da ricostruire e/o rinsaldare con il risparmiatore!
Ora gli esempi citati dello stato confusionale in cui tutto il sistema bancario versa oramai da troppo tempo potrebbero continuare per molto ancora, ma non è su questo che vogliamo concentrare la nostra attenzione.
Piuttosto vorremmo cercare di comprendere come i responsabili di questo stato di cose (legislatore comunitario e nazionale, nonché i relativi organi di vigilanza) intendano uscire dalla crisi di fiducia nelle banche, che sembra oramai quasi irreversibile.
E qui vorremmo fare sorridere (anche se amaramente) il lettore richiamando una Direttiva Comunitaria (la 2013/36/UE), che è stata recepita con il D. Lgs. n. 72 del 12 maggio 2015, il quale ha regolamentato l’accesso all’attività degli enti creditizi e sulla vigilanza prudenziale sugli enti creditizi e sulle imprese di investimento (la c.d. C.R.D. IV).
Forse che in tale normativa risieda l’ultima speranza del legislatore (comunitario e nazionale) per cercare di risalire la china, dopo averle provate tutte (è davvero così?!?) per cercare di ristabilire un po’ di fiducia nell’intero sistema bancario?
Con il provvedimento di cui sopra, infatti, si sono introdotti nel Testo Unico Bancario (c.d. T.U.B.) alcuni meccanismi per la segnalazione di eventuali violazioni normative – sia all’interno dell’ente vigilato (la banca) che verso l’Autorità di Vigilanza (Banca d’Italia) – da parte del personale degli enti creditizi e degli intermediari (il c.d. whistleblowing).
La parola whistleblower (letteralmente “soffiatore di fischietto“, traducibile – nel senso indicato dalla norma – con “segnalatore“) va ad identificare un soggetto che segnali pubblicamente o confidenzialmente alle autorità preposte alcune attività che egli ritenga illecite o addirittura illegali perpetrate nell’ambito lavorativo dove egli svolga le sue funzioni, che si tratti di azienda pubblica o privata.
In effetti per la persona comune tale soggetto si potrebbe chiamare tranquillamente (a scelta) “delatore“, “talpa” o “spia“, ma il termine avrebbe una connotazione fortemente negativa, per la qual cosa si è preferito usare un termine più soft (preso a prestito, come spesso accade, dalla legislazione anglosassone), anche se, poi, la sostanza non cambia.
Il Governo, quindi, ha regolamentato tale possibilità di “segnalazione” (anonima, al fine di evitare possibili ritorsioni) da parte del generico dipendente bancario mediante l’introduzione nel T.U.B. degli artt. 52-bis (Sistemi interni di segnalazione delle violazioni) e 52-ter (Segnalazione di violazioni alla Banca d’Italia), articoli che riportiamo per intero qui di seguito, a favore del lettore che fosse curioso di verificarli in prima persona:
Articolo 52-bis T.U.B.
(Sistemi interni di segnalazione delle violazioni)
1. Le banche e le relative capogruppo adottano procedure specifiche per la segnalazione al proprio interno da parte del personale di atti o fatti che possano costituire una violazione delle norme disciplinanti l’attività bancaria.
2. Le procedure di cui al comma 1 sono idonee a:
a) garantire la riservatezza dei dati personali del segnalante e del presunto responsabile della violazione, ferme restando le regole che disciplinano le indagini o i procedimenti avviati dall’autorità giudiziaria in relazione ai fatti oggetto della segnalazione;
b) tutelare adeguatamente il soggetto segnalante contro condotte ritorsive, discriminatorie o comunque sleali conseguenti la segnalazione;
c) assicurare per la segnalazione un canale specifico, indipendente e autonomo.
3. La presentazione di una segnalazione non costituisce di per sé violazione degli obblighi derivanti dal rapporto di lavoro.
4. La disposizione di cui all’articolo 7, comma 2, del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196, non trova applicazione con riguardo all’identità del segnalante, che può essere rivelata solo con il suo consenso o quando la conoscenza sia indispensabile per la difesa del segnalato.
5. La Banca d’Italia emana disposizioni attuative del presente articolo.
Articolo 52-ter T.U.B.
(Segnalazione di violazioni alla Banca d’Italia)
1. La Banca d’Italia riceve, da parte del personale delle banche e delle relative capogruppo, segnalazioni che si riferiscono a violazioni riguardanti norme del titolo II e III, nonché atti dell’Unione europea direttamente applicabili nelle stesse materie.
2. La Banca d’Italia tiene conto dei criteri di cui all’articolo 52-bis, comma 2, lettere a) e b), e può stabilire condizioni, limiti e procedure per la ricezione delle segnalazioni.
3. La Banca d’Italia si avvale delle informazioni contenute nelle segnalazioni, ove rilevanti, esclusivamente nell’esercizio delle funzioni di vigilanza e per il perseguimento delle finalità previste dall’articolo 5.
4. Nel caso di accesso ai sensi degli articoli 22, e seguenti, della legge 7 agosto 1990, n. 241, l’ostensione del documento è effettuata con modalità che salvaguardino comunque la riservatezza del segnalante. Si applica l’articolo 52-bis, commi 3 e 4.
Ora, aldilà di qualsivoglia considerazione che si voglia spendere in materia, è evidente come siamo arrivati, anche in ambito bancario, a leggi simili a quelle anti-mafia.
La storia insegna, infatti, che lo Stato ha avuto la necessità dei “pentiti” (che altro non sono che “delatori“, “whistleblowers” con la promessa di impunità) per combattere le organizzazioni criminali, così – di fatto! – dichiarando la propria impotenza nei loro confronti, che (nonostante tutto) sono ben lungi dall’essere state sradicate dalla società civile ed, anzi, ancora prosperano.
Quello che, però, il legislatore in materia bancaria non sembra tenere in giusta considerazione è il senso di sfiducia dilagante nelle istituzioni bancarie e negli organi di controllo, che normative come quella di cui sopra contribuiscono ad alimentare, anziché smorzare.
La domanda, infatti, sorge naturale a chiusura del presente contributo:
posto che, con una legislazione del genere, si certifica che gli organi vigilanti (Banca d’Italia in primis) sono impotenti (o, forse, inadeguati?) a fronteggiare il malcostume diffuso all’interno del mondo bancario, tanto da riconoscere di avere bisogno di “delatori” per poter esercitare la propria funzione di controllo e per impedire situazioni di illegalità diffuse, chi di voi potrebbe ragionevolmente affermare che la fiducia nelle banche così ne esce rafforzata?!?